Gretel lavora come lessicografa: aggiorna le voci del dizionario, ragionando quotidianamente sul linguaggio, attività che ben si addice alla sua natura riflessiva e solitaria. Ha imparato che non sempre esistono vocaboli precisi per indicare ogni cosa, almeno non nel linguaggio di tutti; ma quando era piccola, e viveva su una chiatta lungo il fiume, lei e sua madre parlavano una lingua soltanto loro, fatta di parole ed espressioni inventate, e allora anche i concetti più astratti trovavano il proprio termine di riferimento, come il Bonak, definizione di tutto quello che più ci fa paura. Adesso sono passati sedici anni, esattamente la metà della vita di Gretel, da quando sua madre l’ha abbandonata, e le parole di quel codice stanno lentamente scolorendo, perdendosi nei fondali della memoria. Ma una telefonata inattesa arriverà a riportarle a galla, insieme ai ricordi di quegli anni selvaggi passati sul canale, dello strano ragazzo che trascorse un mese con loro durante quel fatidico ultimo anno, di quella figura materna adorata e terribile con la quale è arrivato il momento di fare i conti. I personaggi, i luoghi, la memoria, il linguaggio: ogni cosa è fluida e mutevole, come le acque torbide del canale che fanno da ambientazione a questa storia magnetica.
Vi avviso eh, questa recensione più che del libro parlerà delle sensazioni, ho idea che verrà qualcosa di molto, molto confuso. Ma qui non siamo in un circolo letterario elitario con le persone supponenti con i baffoni e la pipa sprofondate in poltrone di pelle umana, no? e quindi vale tutto.
Inizio? Ma sì via, inizio! partendo da tutt’altro. Quali sono i motivi per cui si decide di leggere un libro? La domanda non è banale e la risposta non è per nulla scontata. Anzi, le risposte, ché non è mai uno solo il motivo per cui si sceglie qualcosa – libro o altro che sia. E nel mio caso, perché ho letto questo libro? I motivi sono 3:
1. ho visto da qualche parte la copertina e mi ha attratta (ci sarebbe da aprire un dibattito su come le copertine -e anche i titoli- scelti possano aiutare nel successo di un libro. Immersi come siamo nelle impressioni e suggestioni, soprattutto in questi ultimi anni di dominio imperante dell’immagine, la giusta copertina fa la differenza eccome!)
2. la scrittrice è una giovane scozzese, ed io ho un debole per la Scozia (senza alcun motivo apparente, mi piace e basta)
3. ho letto due righe due della trama, in cui si dice che la protagonista è una lessicografa che da ragazzina parlava con la madre una lingua tutta loro, e le lingue inventate che diventano codici per crearsi un mondo personale sono qualcosa di estremamente affascinante.
Con queste deboli ma per me vincenti motivazioni, me lo sono segnato e poi prenotato in biblioteca. Dopo un giorno di lettura però, mi sono inabissata e l’ho lasciato sul tavolino per una buona settimana a decantare. Perché il libro è vero che parla di Gretel che cerca Sarah, la madre che l’ha abbandonata quando aveva 16 anni e non si è più fatta né vedere né sentire per altrettanto tempo. Ed è anche vero che parla di Marcus, che ha vissuto con loro per un mese lungo due vite, e di Roger e Laura, che hanno una figlia trovata e poi perduta, e di Fiona, che vive in un corpo che prima era di un uomo, e di Charlie, che ha perso la vista e la famiglia. E poi parla anche delle persone che vivono in un universo nascosto, fuori da leggi e da convenzioni usuali, sulle barche che scorrono lungo l’Isis (che non lo sapevo ma altro non è che un tratto del lungo Tamigi), e della creatura spaventosa che li terrorizza, che madre e figlia chiamano il Bonak, che forse esiste o forse è solo la rappresentazione di tutte le paure che ribollono dentro. Però il vero protagonista del libro è il fiume, l’umidità, il pantano, il fango, la pioggia, la melma, la poltiglia, la vergogna, l’imbroglio, la mancanza di aria e l’acqua che riempie i polmoni e si insinua limacciosa in ogni anfratto della vita di tutte queste persone, incastrandole in una palude che le fa ristagnare in attesa di un destino che subiscono. E in tutto questo mi sono trovata inabissata anche io, perché le vicende si intrecciano con fatica all’inizio l’una nell’altra, come un rivolo che piano piano impone la sua presenza e riempie ogni spazio, ogni pertugio. Le connessioni tra le persone sono abbastanza inverosimili ed è difficoltoso uscire dalla sabbie mobili di capitoli che ho capito dopo come leggere, saltando da un io narrante ad un altro e da una linea cronologica ad un’altra.
Quando l’ho ripreso in mano ho fatto un grosso respiro e ho trattenuto il fiato sott’acqua fino alla fine, all’ultima pagina e all’ultimo dolore. Ho chiuso il libro, ho mangiato l’aria con affanno e mi sono lasciata cullare dal lento movimento del fiume, che pigro e indifferente continua a scorrere sopra la vita e la morte. Mi è piaciuto? All’inizio no, poi sì, e alla fine forse.Lo consiglio? Probabilmente, ma solo se sapete nuotare. Ha senso quello che ho scritto? Non credo, se siete arrivati a leggere fino a qui immagino abbiate capito ben poco. Ma tant’è, un tuffo nel profondo non è proprio la migliore esperienza possibile, e se c’è il Bonak acquattato in attesa …
“Durante la notte, il fiume piombò giù da nord, portandosi dietro pesci dai ventri d’argento che si contorcevano tra i liquami, il ponte di una nave sfondata dalle correnti e un groviglio di foglie secche, cadute dove le stagioni non finivano mai e l’inverno era appena arrivato, spruzzi di sale e ciottoli strappati al mare. I Bonak dentro l’acqua erano così tanti che non si riusciva a contarli: spettri di corpi che potevano attaccarsi all’ancora e decidere di restare, tronchi abbastanza grossi da spazzar via la barca, il ladro del canale che sbucava dai cunicoli allagati, esitante.”
Marta Gi
Traduttore: Stefano Tummolini
Editore: Fazi Collana: Le strade
Anno edizione: 2019