“Come talvolta avviene, un attimo discese e si librò e durò molto più che un attimo. E il suono tacque e il movimento tacque, per molto, molto più che un attimo.”
Ho letto la traduzione di Pavese, datata ma splendida. Visto che il romanzo è breve, sono tentato dal leggerne anche la traduzione recentissima di Michele Mari.
Cosa dire? È bellissimo. La quarta parte è un vero e proprio dialogo teatrale dalla dinamicità, sottigliezza e tensione pazzesche. Temi diversi si intrecciano grazie a un pugno di personaggi scolpiti con maestria, soggiogati da ambizione, insoddisfazione e voglia di rivalsa, mentre su tutto incombe la cappa dell’ingiustizia sociale, il sogno americano che diventa il fine corsa della speranza. Ogni progetto, ogni via d’uscita, passa nel tritacarne della predestinazione, e quel che ne resta sono illusioni da rimpiangere mentre ti bevi la paga o ti trastulli in una “casa”.
Sottofinale e finale da brividi.
Ho veduto centinaia di tipi arrivare per la strada e per i ranches, coi fardelli sulla schiena e la stessa idea piantata in testa. Centinaia. Arrivano, si licenziano e se ne vanno, e tutti fino all’ultimo hanno il pezzetto di terra nella testaccia. E mai uno di loro che ci arrivi. È come il paradiso. Tutti quanti vogliono il pezzetto di terra. Qui io leggo molti libri. Nessuno trova il paradiso e nessuno trova il pezzetto di terra. È solamente nella testa.
Stefano Solventi