La guerra dei Murazzi – Enrico Remmert #Murazzi #Remmert #Marsilio #Torino

Editore: Marsilio
A Torino li chiamano “I muri”: sono le sponde del Po, o meglio i locali che in questo luogo così particolare si succedevano, uno dopo l’altro, una volta preso il posto delle vecchie rimesse per imbarcazioni. Fino al 2012, anno in cui sono stati chiusi. Ma ai Murazzi nei primi anni Novanta si concentrava la movida cittadina: qui veniva attirata in sciami di migliaia di persone nel corso delle lunghe notti sabaude, che si trascinavano dietro il divertimento, lo sballo, il fumo e l’alcol, ma anche il sapore ferroso e amaro di storie di violenza e immigrazione. Quasi una guerra, La guerra dei murazzi, sotterranea e per alcuni invisibile, insabbiata. A raccontarla (con un volume pubblicato da Marsilio) è Enrico Remmert in una raccolta di racconti. Quattro sono le narrazioni che lo compongono, diversissime tra loro, sia per quanto riguarda il respiro, la lunghezza, sia per lo spettro di temi e snodi affrontati.

Ho finalmente ripreso a leggere ai miei ritmi abituali, dopo una lunga pausa dovuta ad un “momento complicato” (si dice così, no?).
A traghettarmi in salvo, un paio di mesi fa, è stato Enrico Remmert. Con il suo La guerra dei Murazzi – e il suo disquisire anche di altrui romanzi durante la presentazione alla Gang del Pensiero – mi ha fatto tornare la voglia e la volontà di leggere nonostante tutto o, forse, proprio per salvarsi da tutto il resto.
In questi due mesi ho consigliato questa raccolta di racconti (quattro, per la precisione) a chiunque, spargendo la voce urbi et orbi, e il motivo è molto semplice: questo libro è BELLO.
Vi pare poco? A me no. Certo, BELLO, nel parlare comune vuol dire tutto e niente; per me, quando si tratta di romanzi o racconti BELLO non può prescindere da due requisiti fondamentali:
1) Deve raccontare UNA STORIA. Una storia degna di questo nome, quindi non può essere solo un’insieme di considerazioni, né avere una trama nebulosa e confusa. Una storia è il racconto di una serie di eventi e delle sensazioni e trasformazioni che questi eventi provocano nei protagonisti.
Io leggo perché, per prima cosa, amo le storie. Ne ho bisogno. Un libro che non racconta una storia non ha ragione di esistere.
Qui ce ne sono quattro. Quattro storie che ti inchiodano alla pagina, quattro storie fatte di personaggi di carne, sangue, pensieri e sentimenti, di dialoghi, di luoghi, di eventi.
Quattro storie come il Dio della letteratura comanda: potranno magari non piacervi, ma ci sono.
2) Deve essere SCRITTO BENE. Il che significa che non può limitarsi ad essere scorrevole, né a fare dello stile la sua unica forza e bandiera, perdendosi nella ricerca di una “bella frase”.
Ecco: in queste pagine non troverete neppure una parola di troppo, né una di meno. Non c’è una parola che non sia stata pensata e scelta con cura: si vede, si sente. E si legge in un soffio, proprio perché la bella scrittura supporta belle storie, dense e “catturanti”.

«Mia nonna diceva che per vivere bastano tre regole, e sono tutti divieti da applicare a se stessi: non oziare, non incolpare, non lamentarti»

Detto questo, per quanto mi riguarda, ho ritrovato i miei Murazzi e li ho riguardati con una nuova consapevolezza, senza le lenti rosa della nostalgia. Ho sognato ancora una volta Cuba, e in un modo così realistico e lucido non lo avevo fatto mai. Desidero ardentemente farmi tagliare i capelli da un parrucchiere giapponese e ho compreso che la furia cieca non va mai sfidata, anche se perfino il più cattivo degli esseri viventi ha almeno una persona che ama, o rispetta.

Quando il capitano aveva mollato gli ormeggi, perché in cabina lo stavano minacciando con le armi, era stato solo perché non c’era più spazio neanche per una mela, così diceva Florian. In biblioteca, con calma, avevo poi cercato i vecchi giornali e avevo trovato le foto della Vlora che arrivava nel porto di Bari e sembrava una carcassa appena tirata su dalla profondità del mare, sembrava senza contorni, come fosse completamente ricoperta di alghe e coralli e piante marine fino ai fumaioli e alle antenne del radar, ma non erano coralli, erano uomini, ventimila uomini, una marea di disperati, assetati, affamati, non so se li potete immaginare o ve li posso descrivere, ma se la trovate sembra una foto dell’inferno.

Loretta Briscione

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