«Se in un quadro i cattivi umori del pittore, le sue torbide malinconie, i suoi errori, le sue sfrenate ambizioni condensano e s’esprimono, state certi che là, in quel punto, troverete la mia ombra, l’ombra del Blu».
Ennio Flaiano Autobiografia del Blu di Prussia
Piccola Biblioteca Adelphi
Ho bisogno di pensieri dissacranti, di curve pericolose, del mondo guardato come fosse una biglia e *all’incontrario*, è la verità. Ho bisogno di una lucidità che spezzi le vene, anche quelle delle mani (quelle della canzone tanto amata). Ho bisogno d’aria e dell’aria quando manca: quella sensazione dei polmoni che si increspano e poi esplodono. Ho bisogno di parole dette bene, dette sul serio, come non restasse altro, quasi si potesse, con le parole, raddrizzare questo mondo storto. Ecco, quando ho quei bisogni qui leggo Flaiano. No, non è il mio scrittore preferito, è il mio scrutatore preferito: dei meandri, del nero, della luce perché origina ombre, delle favole amare dolcissime omicide.
Autobiografia del blu di Prussia è come una tonica quando non hai nemmeno sete, non te la ricordi più, la sete, ma senti l’urgenza di riappropriarti della tua gola e ingoi, ingoi senza nemmeno prendere fiato.
Così, tanto per parlare del niente, ‘ché delle volte è tantissimo.
“Ma alla fin dei conti, essere pessimisti circa le cose del mondo è un pleonasmo, non è che anticipare quel che accadrà.”
Rob Pulce Molteni
DESCRIZIONE
Flaiano scrive i testi – racconti, apologhi, stralci di cronaca, epigrammi – che formano questa composita raccolta con la stessa livida cromia, e li tramuta in autobiografia indiretta. Descrive luoghi dell’Abruzzo natio in cui la desolazione è profondamente radicata e figure che, su quei fondali, paiono inesorabilmente votate all’autodistruzione: come l’intellettuale romantico e decadente che sospende un’assunzione fatale di veronal solo per la momentanea fioritura di una rosa, o il giovane, ultimo di sei fratelli, cui la famiglia non perde occasione di rinfacciare il suo status di indesiderato, di nato «a tavola sparecchiata». E quando, nel più lungo di questi racconti, Flaiano rievoca la vicenda di uno zio prete, don Oreste, la narrazione affonda ancor più tra quelle rocce scarne, dove «i cattivi umori della terra cristallizzano» e generano quel blu di Prussia «velenoso, sordido, intelligente e pieno di rancori sociali». Ma sarebbe strano se questo brulichio di volti ignoti e misconosciuti non celasse fisionomie storiche: le troviamo nella luce autunnale di una Roma così toccata dalla grazia da far dire a Vincenzo Cardarelli, appena uscito dal cinema, che «con un cielo simile si può rinviare un suicidio».