Shotgun lovesongs – Nickolas Butler #recensione #NickolasButler

Ero, e così era lui, in quello spazio a metà dei vent’anni, quando un numero sufficiente di amici o compagni di classe aveva già trovato qualche forma di successo, abbastanza da incombere su tutti noi che non c’eravamo riusciti.

Un romanzo piacevole. Che scorre via veloce, fresco come un ruscello del Wisconsin ( ci sarà un ruscello fresco, lì, spero, altrimenti la metafora va a farsi un barbecue).
L’ho letto, ma non ho scritto niente, subito. E col passare dei giorni ci ho ripensato su molto, pensato e ripensato. E ho perso un bel po’ della “magia” che credevo di averci trovato.
Ripeto, lettura piacevole, e comunque questo non è poco.
Una storia piena di testosterone, in linea di massima, dato che abbiamo in primo piano una storia di amicizia maschile.
Abbiamo birre, abbiamo bar, abbiamo alcol, abbiamo pacche sulle spalle, mucche da mungere, pick up sgommanti, abbiamo camicie di flanella a quadrettoni, abbiamo barbecue, abbiamo coyote e abbiamo neve, tanta, quando occorre.
Poi ci sono le parti romantiche, abbiamo i tramonti, le albe, le rocce e le erbe con tutto il campionario di colori possibili e oltre i possibili.
Abbiamo sentimenti veri, forti, indistruttibili.
C’è gente messa alla prova dalla vita, gente che resta in paese e gente che invece sente di soffocare e parte. Ma non si spezza il filo dell’amicizia, mai. Ci sono scossoni forti, ma non si crolla.
Persone che vivono, lottano, cercano la felicità, provano, riescono e sbagliano, come tutti.
Il tutto in quest’atmosfera che sa di magico incantesimo.
Mi piace l’espediente narrativo che fa parlare tutti i personaggi, uno alla volta.
Ti affezioni a queste persone, le senti vicine.
Ma ecco che questo espediente segna il suo limite quando tutte queste voci finiscono con avere una sola tonalità. Non c’è stacco vero tra nessuno dei personaggi. Tutti questi amici parlano con la stessa voce, con lo stesso timbro. Nemmeno il personaggio che dovrebbe avere una voce diversa, per questioni di salute mentale, alla fine si distingue dagli altri.
E questo è un limite grosso, per una storia che si definisce autentica.
C’è un confine sottilissimo tra il reale/genuino/romantico e il melenso.
E questo romanzo lo oltrepassa più volte, per me.
Sì, ti fa venir voglia, probabilmente, di amici così, di avere un posto sicuro dove stare o dove tornare, di silenzi che contano e di notti piene di stelle, e di musica buona, avvolgente come una sciarpa calda. E penso che qualche lettore le abbia, queste cose, queste amicizie.
Ma mi sa che è troppo, tutto troppo.
E’ troppo pacifico. Non esiste un torto possibile che porti alla rottura di un rapporto, qui.
Qui c’è gente che predica bene e razzola diversamente, non dico male eh, ma diversamente. Ma nulla cambia. Non c’è lo strappo che ti aspetti. Troppi matrimoni, troppo amore, troppi tradimenti, troppi cuori spezzati, troppe riconciliazioni, troppa birra, per potere rendere credibile uno status quo che si rinnova.
C’è pure troppo Bob Dylan, nominato una volta, ma è troppo lo stesso, in questo contesto sembra un nome buttato lì facendo l’occhiolino…
Questo romanzo “scalda”, han detto tutti. Ma a furia di star troppo vicino a un camino, si va a bruciarsi, dopo essersi scaldati per bene.
Dove sono andati a finire, i perdenti? Qualcuno dirà: ma perché, non può andare tutto bene, finire bene, che male c’è? Nessuno, ovviamente. Ma a volte non è che basti prendere un gettone e far risuonare una canzone in un vecchio juke box, per mettere a posto tutto quello che di storto si è andato accumulando negli anni, o per farti sentire vicino qualcuno che hai sempre detestato o l’amico che ti ha tradito.
C’è grosso rischio di atmosfera da soap opera, per me.
Sembra scritto per finire in una sala cinematografica.
Ecco perché appare più furbo che autenticamente genuino (e in fondo nemmeno la storia in sè, è originale, dato che lo spunto lo fornisce una storia vera).
Fino a metà, il libro si regge e si legge bene, o discretamente bene.
Poi diventa prevedibile, fino ad un finale per me quantomeno affrettato, se non ampiamente deludente.
Sì, lo so, sputatemi pure. Ma questo è.

Musica: My My, Hey Hey (Out Of The Blue), Neil Young
https://www.youtube.com/watch?v=cawk2cMTnGo

Carlo Mars

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