Maria di Ísili – Cristian Mannu #recensione

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Vincitore del Premio Calvino 2015, questo libro mi è servito per colmare un poco due questioni sulle quali la mia ignoranza regna quasi sovrana, le storie della Sardegna e la giovane letteratura italiana contemporanea.

E’ un’opera costruita, idealmente ma anche effettivamente, come Spoon River: ogni capitolo narra in prima persona la storia di una persona, e la vita di ogni narratore che parla ruota intorno a uno stesso avvenimento comune a tutti i personaggi, accaduto molti anni prima. Ognuno racconta quindi la propria storia ma anche la propria versione della vicenda, dal proprio punto di vista, lasciando capire a chi legge che la verità non è mai una, e che ogni prospettiva, nelle umane vicende, ha una sua importanza. Tutti i personaggi parlano di amore e odio, di tradimenti e di vergogna, di ribellioni pagate a caro prezzo in tempi dove il perdono non trova strada; e il tema, per tutti, è il ritorno, inteso come recupero delle radici, come riappropriazione della terra e delle tradizioni, come riconoscimento di un’origine.

E’ un libro pieno di poesia, di lingua molto musicale, che si destreggia nel susseguirsi dei flussi di coscienza. Mi è piaciuto, con qualche riserva: la trama è quasi inesistente, e con la struttura scelta, che come ho detto consiste in una serie di personaggi che raccontano ognuno la propria visione di uno stesso fatto, dopo dieci versioni risulta inevitabilmente ripetitiva, e un poco stanca. C’è anche un altro difetto, per così dire di ambientazione: dalle prime storie si pensa di intuire che la vicenda accada a fine Ottocento, primi del Novecento; più avanti però si parla di Dopoguerra, poi ancora più avanti di droga e scudetto del Cagliari, insomma accetto che sia un tempo sospeso, che i sardi nell’entroterra vivano (forse) ancora in un mondo a parte tra accabadore e matrimoni riparatori, però il pensiero che ci sia un problema di pesi atavici in personaggi che interagiscono nella nostra contemporaneità mi è apparso troppo forzato. E’ il genere di tragicità che trovi e accetti in Verga, un tipo di dolore atavico dell’entroterra isolano che non può realmente proiettarsi oltre il dopoguerra, per me. E, per citare una lettrice su Anobii, sul dramma sardo ha già detto tutto la Deledda, non puoi creare altri personaggi deleddiani credibili.

Il mio problema principale con la narrazione, comunque, è il tentativo di far parlare dieci personaggi diversi, con dieci diverse voci, mentalità, emotività: non mi pare che l’autore ci sia riuscito, alcune figure si confondono con quelle dei capitoli precedenti, alcune voci non si distinguono: se non fosse indicato il nome di chi racconta all’inizio del capitolo, non si coglierebbero le differenze, nè si saprebbe chi sta parlando. Anche il personaggio principale, che dà il titolo al libro e principale poi in fondo non è, racconta la sua storia già nel secondo capitolo, poi scompare, dimenticata, sopraffatta dalle altre narrazioni.

Leggo in rete lodi in certo modo sperticate per il nuovo talento, il giovane genio, la penna felice; io non mi spertico, ma nemmeno mi sono annoiata, nè l’ho trovato poi brutto. Se volete leggere un libro di un giovane autore italiano, facendovi trasportare dall’immaginazione tra l’antica arte di intrecciare rame e lana sul telaio e il vento che profuma di rosmarino, io un giro a Ísili ve lo consiglio; però se avete già letto molto di letteratura sarda, non credo vi sia proprio necessario anche questo libro.

 

Lorenza Inquisition

 

 

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