Saul Bellow – Il re della pioggia #SaulBellow

«Questo mio romanzo, Il re della pioggia, è stato capito da pochi nella sua essenza, che è comica. Troppi americani credono che la serietà li dispensi dall’esercizio dell’intelligenza, e forse il gusto della satira, della commedia, si va perdendo anche in Europa.»

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Ma poi viene il giorno, viene sempre il giorno delle lacrime e della pazzia.

Non è mai facile addentrarsi in un’opera di Saul Bellow: due anni fa lessi Herzog, una meravigliosa gran fatica, ora ho provato Il Re Della Pioggia. Libro molto complesso, il re della pioggia racconta la storia del miliardario americano Eugene Henderson. Un omone enorme, rude, passionale, impulsivo, pieno di vita, insopportabile. Henderson possiede tutto ciò che gli esseri umani vogliono: ha avuto due mogli, ha diversi figli, è ricco, ha una posizione sociale invidiabile. Si è dilettato a studiare, ha lavorato, ha viaggiato, ha fondato un’azienda. Nonostante una vita ricca – da tutti i punti di vista – Henderson si sente inappagato, insoddisfatto, incapace di godersi quanto ottenuto. E’ un personaggio simile a Herzog, ebreo avanti con l’età, stanco di mille esperienze e con voglia di resuscitare da matrimoni falliti e l’impossibilità di avere rapporti umani sereni e normali. Questa volta però nessuna invettiva rancorosa come in Herzog, ma un bel viaggio in Africa per ritrovare il senso della vita, per fare in tempo a rovinare una intera tribù e diventare il re di un’altra. Nel mezzo i dubbi, le domande, la ricerca di una verità di un personaggio antipatico e scomodo e se vogliamo anche infantile nonostante i 60 anni. Herzog era più perfetto e maestoso, qui ogni tanto ci si perde, ma il lato avventuroso del libro forse lo rende più facile da leggere. Henderson ride e si dispera per imparare ad amare se stesso, camaleontico e trasformista, caparbio e comico, ribalta tutta la sua vita per inseguire la voce che gli grida dentro “voglio, voglio, voglio”. La penna di Bellow non si discute, con quel misto di intelligenza e ironia yiddish, scrittura minuziosa, a volte ossessiva nei particolari, prolissa persino a tratti, complessa e simbolica.

Nicola Gervasini

Non c’è tempo nella felicità. In cielo hanno buttato via tutti gli orologi.

John Steinbeck – Uomini e topi

La voce di George si fece più cupa. Ripeteva le parole, cadenzate, come le avesse pronunciate tante volte. «Gente come noi, che lavora nei ranches, è la gente più abbandonata del mondo. Non hanno famiglia. Non sono di nessun paese. Arrivano nel ranch e raccolgono una paga, poi vanno in città e gettano via la paga, e l’indomani sono già in cammino alla ricerca di lavoro e d’un altro ranch. Non hanno niente da pensare per l’indomani».
Lennie era felice. «È così, è così. E adesso dimmi com’è per noi».
George riprese. «Per noi è diverso. Noi abbiamo un avvenire. Noi abbiamo qualcuno a cui parlare, a cui importa qualcosa di noi. Non ci tocca di sederci all’osteria e gettar via i nostri soldi, solamente perché non c’è un altro posto dove andare. Ma se quegli altri li mettono in prigione, possono crepare perché a nessuno gliene importa. Noi invece è diverso».
Lennie interruppe: «Noi invece è diverso! E perché? Perché… perché ci sei tu che pensi a me e ci sono io che penso a te, ecco perché».