Cheryl Strayed – Wild #CherylStrayed #Wild

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È un po’ un cliché leggere un libro di viaggio durante un viaggio. Forse lo è, ma l’alternativa che avevo nello zaino era questo oppure Jane Austen, e non ero ancora pronto per una dose di femminilità. E così sono stato punito con una dose di femminismo! ahahaah! scherzo non era così terribile.
Mi sono salvato perché ai tempi mi ero perso il film e in questo modo sono arrivato senza pregiudizi al libro.
Malgrado la naivitè dell’autrice che spesso si avverte, il libro é proprio ben scritto, di quelli che ti scivolano sotto gli occhi al massimo uno o due giorni. È la storia vera di un viaggio sul PCT, Pacific Crest Trail, un percorso in trekking che va dal Messico al Canada sulle montagne rocciose, cazzutissimo. Lei se lo fa da sola, come una specie di pellegrinaggio spirituale alla ricerca della sua vecchia identità, andata smarrita dopo il lutto per la madre e il divorzio giovanissima; e anche della sua nuova identità. Di fatto dopo il viaggio decide di trasferirsi dal Minnesota a Portland: giacchè come tutti gli avventurieri, sente il richiamo verso Ovest.
Si avverte ogni centimetro di strada percorsa: la fatica, il dolore ai piedi, lo zaino che ti seghetta la schiena e le spalle, i soldi che non bastano mai per pagarsi la cena, gli amici incontrati lungo il percorso, la paura di strani rumori la notte, lo svitato che ti minaccia nei boschi (a chi non è mai capitato!?), il desiderio provato per il tuo occasionale compagno di viaggio, la rabbia per essersi persi lungo il sentiero, la pioggia, l’afa, la fame, la frustrazione, la soddisfazione di aver concluso, e molto molto altro ancora.
Mi sento di consigliarlo, ma più alle donne: non perché gli uomini non possano comprendere il punto di vista femminile, quanto perché i riferimenti a molti dei riti di passaggio e ai segreti del mondo femminile risultano a volte un linguaggio segreto, che non ostacola la lettura, è vero, ma che di fatto mi sa che un ragazzo come me non ha afferrato completamente. Nel complesso un bel libro, scritto di getto e con passione ( ma non aspettatevi un premio pulitzer!)

Stefano l.

Chimamanda Ngozi Adichie – Americanah #Americanah

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Ma che bello questo libro, ricco, intenso, divertente. La scrittura è magnifica. Chimamanda Ngozi Adichie (sì, lo so) è la golden girl della letteratura nigeriana moderna, scrive in inglese su temi attuali riuscendo ad attrarre nuovo pubblico occidentale verso la produzione letteraria africana (tutte le sue opere sono tradotte anche in italiano, comunque). Americanah è un romanzo contemporaneo, ambientato per metà in America e in Inghilterra.

E’ la storia di una giovane donna nigeriana, Imefelu, che nel 2000, durante il primo anno di Università a Lagos è costretta a mesi di inattività perchè il governo -militare- non paga da mesi i dipendenti governativi, e quindi anche gli insegnanti che, inaspriti, scioperano. Imefelu perde un anno di iscrizione universitaria perchè non ci sono lezioni, ed esasperata, come centinaia di giovani suoi pari, fa domanda per continuare gli studi all’estero, ottenendo una piccola borsa di studio per l’America, dove poi rimarrà per i 15 anni successivi. Il romanzo va a ritroso, inizia quando Imefelu sta per tornare in Nigeria, ormai trasformata in quello che i locali chiamano Americanah, una persona che ha vissuto all’estero così tanto che non sa più essere Nigeriana.

Ci sono tre diversi livelli di storie in questo romanzo: innanzitutto, c’è la Nigeria. Le strade caotiche e i vestiti colorati, il platano fritto e lo stufato di arachidi, le signore bene che si fanno fotografare nelle loro case su divani di pelle vicino a busti dorati con alle spalle gli scatoloni di riso e zucchero che andranno a donare alle Missioni cattoliche. Ci sono la corruzione e i nuovi ricchi, che spendono per ostentare il loro status: bambinaie straniere e maggiordomi, camerieri e portieri in divisa, scuole francesi o inglesi per i bambini.

Poi c’è l’America. Non gli Stati Uniti di chi atterra con parenti ricchi e borse di studio prestigiose, ma quelli di chi arriva da povero, e da povero comincia, con lavori in nero e persone che umiliano. E’ vero che l’America è il Paese delle opportunità, ma sono opportunità che spesso non si presentano per anni, e a volte anche lì si ricorre alla scorciatoia: tanto vale sfruttare la conoscenza, il ragazzo ricco, la propria bellezza.

Il terzo tema, il più profondo e il principale motivo che ricorre lungo tutto il romanzo, è il razzismo. La protagonista è una persona che non si è mai sentita “nera” se non nel momento in cui entra negli Stati Uniti. Nero nel suo Paese di origine è un dato di fatto, uno stato fisico, non un insulto. Imefelu si trasferisce in un Paese in cui il problema della razza è una questione scottante e irrisolta, e soprattutto, paradossalmente, negata. Non dai conservatori o dai bianchi poveri, ignoranti, violenti e fanaticamente razzisti: sono proprio gli americani progressisti i veri negazionisti. Come dice Imelefelu: “Vi sono infiniti libri sulla schiavitù o sulla separazione razziale negli anni ’50 che permettono a qualsiasi progressista di dire Beh sì è vero c’è ancora qualche problema da noi, ma guarda quanta strada abbiamo fatto da allora! Ma la questione razziale è una bastardata che non avrebbe mai dovuto neanche nascere, e non devi stare a darti delle pacche sulle spalle perchè dagli anni 60 ci sono stati progressi. Non devi pensare a quanto siete stati fighi da allora, devi pensare di fare meglio anche adesso, ancora di più”.

Questo è un libro che contiene un sacco di cose, immigrazione ed emigrazione, razzismo e relazioni interraziali, quello che si è disposti a fare per integrarsi in un gruppo e cosa significhi lasciare casa, famiglia e patria. E’ anche, di base, la storia di quello che succede quando si sogna di avere una vita migliore, e si fa di tutto per realizzare questo sogno, solo per arrivare a capire con l’età che la vita “migliore” non è quello per cui si è lottato tutto il tempo.

Ci sono due o tre difetti che non definirei minori, è molto lungo, e le tirate sul razzismo, sulla politica e sull’ideologia razziale sono, soprattutto verso la fine, troppe. Ma scrive così bene che onestamente a me non è pesato molto, anche se capisco che non per tutti possa essere così.

Credo che il difetto principale siano comunque i drastici cambi di direzione che ogni tanto il romanzo prende: parte come narrativa pura, vira verso il diario semiautobiografico con l’autrice che fa capolino con le proprie esperienze di emigrata e di donna di colore in una società ancora fortemente discriminante a livello razziale, riprende il tema fiction per diventare un po’ saggio quando la protagonista apre un blog e vengono buttati in mezzo alla narrazione i vari articoli, e finisce come romanzo d’amore (comunque a me è piaciuto, sono una romanticona, si sa). Insomma, un po’ lungo, un po’ incasinato, un po’ pesante a volte. Va beh, non ho mica detto che è perfetto, ho detto che è un bellissimo libro!

4 stelle su 5, e baci diffusi.

Lorenza Inquisition