Uno dei caposaldi dei romanzi di formazione del novecento italiano, che mannaggia a me avrei dovuto leggere a 16 anni e oggi ne sarei innamorato, invece a 44 fa sicuramente un altro effetto. E’ un libro bellissimo, forse un po’ vecchio nella forma, un poco pedante nell’aggrovigliarsi dii pensieri e sentimenti del protagonista con una minuzia di particolari a cui forse non siamo più abituati e che non trovi più nella letteratura contemporanea. Ma la capacità della scrittrice di farci capire tutto l’evolversi dei sentimenti acerbi e adolescenziali di Arturo è perfetta, e non era facile penso per una donna, visto che comunque stiamo parlando di un universo maschile. Lo consiglio anche se solo a chi ancora è abituato a relazionarsi con una letteratura di stampo classico. E’ l’amara disillusione dell’essere umano nel passaggio dall’infanzia all’età adulta, il crollo del piedistallo su cui i nostri genitori sono stati da noi fermamente e amorevolmente collocati. Serve a ricordarci che a quell’età si ha come un filtro sugli occhi che deforma la realtà (la splendida e misteriosa figura del padre, l’amore e la capacità di capirlo, la stessa isola di Procida in cui vive) secondo quelli che sono i propri desideri e passioni. E non è detto che poi maturando non si conservi ancora un po’ di quel filtro maledetto, che tante cazzate ci fa commettere e pensare.
Nicola Gervasini