“Ricordi, dicevamo che avremmo fatto della gioia una virtù”.
Ora capisco perché, ai tempi, questo romanzo venne chiamato “Jude l’Osceno”: era come una mano artigliata che si è fatta largo tra la falsità delle convenzioni sociali dei tempi, spezzata dal mattone della censura solo dopo che aveva compiuto una parte del massacro di quelle convenzioni, sbattendo in faccia alla gente del tempo tutto quello che fingevano di non voler vedere.
Il protagonista della storia è Jude Fawley, un giovane uomo appartenente alla classe più umile della società, il cui sogno nella vita è di divenire letterato. Altri due personaggi cruciali del racconto sono la volgare prima moglie di Jude, Arabella, e Sue, la cugina e convivente che Jude non riuscirà mai a sposare.
Tutti i personaggi sono così vividi che mi è capitato più volte di pensare: “No, porca puttana, NON FARLO!”, “Ma come può dire una cosa del genere?”, “Ma è scemo?”, “Ma guarda te ‘sta stronza!”
Non c’è un lieto fine e non c’è nessun barlume di speranza. L’inizio ti apparecchia la tavola per i bocconi amari che verranno dopo e che non verranno risparmiati. Fino a quello finale, il più amaro di tutti.
Le convenzioni e le restrizioni morali dell’epoca vittoriana, il vero “villain” del romanzo, vincono anche se pirricamente. Pagine amarissime scorrono veloci mentre si punta il dito contro precetti di fede che in servile ossequio alla tradizione impediscono la libera espressione degli impulsi naturali, soffocando tutto ciò che di autentico esiste nell’essere umano.
Alla fine, ti troverai il cuore nebuloso come gli strati di nuvole grigie che avvolgono Christminster.
Alex Grigio