Olive Kitteridge – Elizabeth Strout #OliveKitteridge #ElizabethStrout

She didn’t like to be alone. Even more, she did’nt like being with people.

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Libro che ha portato all’autrice il Pulitzer nel 2009, Olive Kitteridge è strutturato in modo particolare, un romanzo di 13 racconti, 13 storie diverse, tutte ambientate nella stessa piccola cittadina immaginaria del Maine, in cui i personaggi di ogni racconto hanno a che fare, in varia misura, con la vera protagonista, Olive, insegnante di matematica del locale liceo, donna sarcastica, dallo sguardo franco e dalla parlata elegante, con una naturale intolleranza alla stupidità e all’ipocrisia.  La grandezza di questo libro è nella scrittura, la Strout è bravissima in tutto lo spettro della narrativa letteraria: lirismo nella descrizione dei paesaggi, lampi di profonda comprensione umana, dialoghi e fraseggio straordinari. E sa anche rendere con superba empatia i momenti di tragedia nelle piccole grandi vite di persone comuni che descrive, impossibile rimanere indifferenti al loro dolore.

I personaggi dei racconti spaziano attraverso varie generazioni e tipologie di umanità, giovani e vecchi, poveri e benestanti, felici o disperati, gente diversa di cui arriviamo a cogliere con dolcezza i pensieri più profondi, descritti con stile asciutto e spartano, sempre con una certa simpatia.

E’ un libro un po’ triste, i temi principali di queste storie sono la solitudine, la morte, l’alienazione. Generalmente c’è poca speranza, anche se la conclusione a cui io sono arrivata dopo la lettura non è di sconforto ma di una certa serenità. Olive attraversa la propria esistenza con ironia, disperazione, rabbia e amore, a volte negando i problemi ma in genere con sincerità. Alla fine accettando che ogni vita è uno strano, intricato affare, e che rimanere a galla, indipendentemente dall’inesorabile avanzare del tempo che porta tutti verso una triste comune fine, è realmente un singolo atto di coraggio.

L’esistenza di noi tutti, nella sua interezza, non è quasi mai pregna di grandi spettacolari avvenimenti, e sempre, per tutti, arrivano i piccoli accomodamenti insieme ai grandi sogni perduti, a volte splendide illuminazioni di fianco alle brutture. Tutti abbiamo i momenti persi, le cose non dette, la stupida arroganza della gioventù e il senso della meraviglia perduta dell’infanzia. Quello che rimane alla fine di Olive è la dolcezza di una fotografia sbiadita che porta ancora l’eco delle risate di una certa estate, la voglia di perdersi sempre e nonostante tutto in una passione, l’amore, infine, per questa sciocca, terribile, bellissima fiamma che chiamiamo vita.

Lorenza Inquisition

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