“Flannery O’Connor è stata la più grande scrittrice di racconti della mia generazione.” Kurt Vonnegut

La O’Connor viene definita la più grande scrittrice di racconti del secolo.
I temi che affronta sono la lotta tra il bene e il male, il razzismo come problema sociale, la religione incombente.
I personaggi sono spesso spregevoli, ripugnanti fisicamente, le situazioni quasi sempre brutali. short stories di angosciante tristezza, ambientate quasi tutte in quel Sud nel quale era nata e cresciuta. Sono storie di agricoltori e di gente di provincia, oppressa dalla cappa soffocante dell’ignoranza e della miseria e dall’ossessione per “i negri”. Sono racconti durissimi, che non fanno nessuna concessione al romanticismo o alla voglia di lieto fine e nelle quali la storia della padrona di una fattoria maciullata da un toro inferocito prende quasi il ruolo di intermezzo rilassante fra quelle del nonno che spacca la testa alla nipotina, del figlio che uccide la madre per errore o del ragazzino che si impicca a una trave della soffitta.
La scrittura è magnifica, ricca, la descrizione di personaggi ambienti e situazioni sono vividi.
Si sente il dolore, la sopraffazione, l’ignoranza e la certezza che nessuno sarà mai veramente felice. Questi momenti terribili sono raccontati con un tono mai compiaciuto del dettaglio orripilante: la voce della O’Connor sembra voler mantenere una sorta di distacco emotivo da ciò che racconta, su tutto calando piuttosto un velo di tristezza sconfinata.
Sono sicura che una rilettura mi porterebbe a comprendere cose che mi sono sfuggite tanto è ricco il suo modo di scrivere e l’ampio uso di metafore e simboli.
Raffaella Giatti