Il cuore è un cacciatore solitario / La ballata del caffè triste – Carson McCullers #Einaudi #CarsonMcCullers

Traduttore: F. Cancogni
Editore: Einaudi
Traduttore: I. Brin
Editore: Einaudi

La storia del gioiellere sordomuto John Singer e della comunità di perdenti e sognatori che popola una piccola città nella Georgia degli anni Trenta. E del suo fatale incontro con Mick Kelly, una ragazza piena di talento e voglia di vivere, che sfoga nella musica la sua ribellione contro un mondo gretto e meschino, colmo di pregiudizi e di razzismo. Una storia ammaliante, indimenticabile, che dà voce ai reietti, ai dimenticati, ai maltrattati e, attraverso il personaggio di Mick Kelly, alla personale ricerca di bellezza.

Come ben scrive Goffredo Fofi nell’introduzione a Il cuore è un cacciatore solitario, “la sua autrice è Carson Mc Cullers (1917-1967), una scrittrice del Sud che si inserisce bene in quella vena che attraversa Faulkner, Caldwell, il Capote dei racconti, Flannery O’Connor, ma con una sua originalità”.
La ballata del caffè triste è del 1951, e ha dunque la mia età, e io lo lessi da giovane senza capirlo ma subendone una certa confusa fascinazione. La rilettura è stata folgorante, un personaggio femminile sui generis e indimenticabile, la alta, ossuta, strabica, muscolosa e solitaria Amelia, donna d’affari in uno sperduto villaggio del Sud, dove distilla clandestinamente liquori e gestisce un emporio. Questo il prima, prima della comparsa di uno strano cugino, nano e un po’ storpio, l’imbroglione Lymon.
Lymon stravolgerà il cuore e la vita di Amelia, l’emporio si farà caffè e sarà il cuore di vita pulsante del paese. Ma il ritorno di Marvin, a suo tempo innamorato di Amelia e suo sposo per pochi giorni, romperà bruscamente ogni equilibrio per Amelia, per Lymon e per il sonnolento paese.
Il racconto è essenziale, crudo, secco e incisivo, un vero gioiello, dove la McCullers mette in scena il suo teorema fondamentale: l’amore è uno stato di solitudine disperata. Il valore dunque, e la qualità dell’amore, vengono determinati unicamente da colui che ama. Per questo motivo si preferisce, nella maggioranza, amare più che essere amati.
Il cuore è un cacciatore solitario invece, pur avendo un titolo che evoca i baci perugina, con buona pace di moccia, è stato scritto dalla Mc Cullers nel 1940 a soli 23 anni, romanzo giovanile ricco e confuso nello stesso tempo. Anche qui gli amori si rincorrono senza scampo, in una solitudine senza rimedio. Nel romanzo , però, compaiono tanti, tanti temi e tanti personaggi unici, tra i quali la notevole Mick, la ragazzina mascolina e innamorata della musica (come Carson stessa bambina prodigio), o il sordomuto Singer, cardine del romanzo e a sua volta innamorato perso di un altro muto, greco e completamente fuori di testa. Sullo sfondo la povertà , la segregazione dei neri, le lotte operaie, l’omosessualità. Insomma una ricchezza di spunti sorprendente per una giovane scrittrice, tanto che le si perdona se il romanzo non è un esempio di equilibrio narrativo e stilistico.

Pia Drovandi

Carson McCullers

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Flannery O’Connor – Tutti i racconti #FlanneryOConnor

 “Flannery O’Connor è stata la più grande scrittrice di racconti della mia generazione.” Kurt Vonnegut

tutti
La O’Connor viene definita la più grande scrittrice di racconti del secolo.
I temi che affronta sono la lotta tra il bene e il male, il razzismo come problema sociale, la religione incombente.
I personaggi sono spesso spregevoli, ripugnanti fisicamente, le situazioni quasi sempre brutali. short stories di angosciante tristezza, ambientate quasi tutte in quel Sud nel quale era nata e cresciuta. Sono storie di agricoltori e di gente di provincia, oppressa dalla cappa soffocante dell’ignoranza e della miseria e dall’ossessione per “i negri”. Sono racconti durissimi, che non fanno nessuna concessione al romanticismo o alla voglia di lieto fine e nelle quali la storia della padrona di una fattoria maciullata da un toro inferocito prende quasi il ruolo di intermezzo rilassante fra quelle del nonno che spacca la testa alla nipotina, del figlio che uccide la madre per errore o del ragazzino che si impicca a una trave della soffitta. 
La scrittura è magnifica, ricca, la descrizione di personaggi ambienti e situazioni sono vividi.
Si sente il dolore, la sopraffazione, l’ignoranza e la certezza che nessuno sarà mai veramente felice. Questi momenti terribili sono raccontati con un tono mai compiaciuto del dettaglio orripilante: la voce della O’Connor sembra voler mantenere una sorta di distacco emotivo da ciò che racconta, su tutto calando piuttosto un velo di tristezza sconfinata.
Sono sicura che una rilettura mi porterebbe a comprendere cose che mi sono sfuggite tanto è ricco il suo modo di scrivere e l’ampio uso di metafore e simboli.

Raffaella Giatti