C’era una volta ad Hollywood – Quentin Tarantino #Tarantino @lanavediteseoed

Il primo romanzo di Quentin Tarantino è una storia di desiderio e riscatto tra le stelle di Hollywood: mentre tutto sta cambiando, la forza dell’immaginazione appare come una sirena a cui è difficile resistere.

Che posso dire … è un libro che si può leggere senza aver visto il film?

Assolutamente sì, secondo me, e questo è un pregio. Se si ha visto il film, a prescindere dalla propria opinione in merito, amplia di molto la prospettiva sulla pellicola e lascia anche un senso di mancanza, di “che peccato”: non mi stupisco che ci fossero ben più ore di girato poiché nel libro alcuni personaggi, tra cui il principale Cliff Both, sono approfonditi molto meglio e in toni più cupi e talvolta grotteschi e spiace che nel film non si sia potuto o voluto trovare spazio (oppure concentrarsi su altre parti della storia).

Si nota proprio che l’idea è partita come libro e poi è diventata film e forse, ecco lo dico rasentando la bestemmia, perché scrivere è un talento diverso dal girare e questo un po’ si percepisce dal libro. La narrazione sin dall’inizio è poco fluida, è qualcosa a cui ci si deve adattare come linguaggio sia a livello di forma che di presentazione degli eventi, che non sono troppo lineari.

Concludo dicendo che non sono di parte. Non sono una tarantiniana acritica e non ritengo C’era una volta ad Hollywood il mio film preferito di Tarantino, sebbene io lo abbia visto quattro volte (di cui due al cinema) però penso di poter dare un consiglio con cognizione di causa: sebbene queste due opere possano esistere da sole separatamente sono una sorta di unicum e consiglio di affrontarle entrambe, non saprei dire prima quale, per apprezzare meglio una storia e un periodo storico pieno di sfumature che riempiono gli occhi e le orecchie col film ma sulla mente impattano fortissimo, tipo tzunami, col libro.

Tarantino, che richiede un lettore complice. Rispetto al film, il romanzoC’era una volta a Hollywood” è un universo espanso. Si capisce che potrebbe espandersi ancora, ma bisogna pur mettere un freno alla quantità strabiliante di erudizione e di filologia sfoggiata in queste pagine. Per la delizia di chi ama il cinema, e gode quando se ne parla allegramente. Senza l’orribile fardello dell’interpretazione che prende ogni dettaglio e la fa diventare un’altra cosa.

Mariarosa Mancuso, Il Foglio

Alice Porta

di Quentin Tarantino (Autore) Alberto Pezzotta (Traduttore) La nave di Teseo, 2021

Rick Dalton è un attore con alle spalle una luminosa carriera nel cinema in bianco e nero, ma a Hollywood negli anni ’60 si invecchia molto in fretta e ora Dalton deve lottare per un ruolo in una serie tv commerciale o in un film in Italia con Virna Lisi o Gina Lollobrigida. La spalla di Rick è Cliff Booth, un veterano di guerra dalla vita movimentata che gli fa da controfigura nei film, e da confidente e autista nel privato. La vita di Rick e Cliff a Cielo Drive è scandita dalle feste a casa di Roman Polanski, il regista del momento, dalla rivalità con Steve McQueen e con Bruce Lee, e dalla ricerca ossessiva di un ruolo importante per rilanciare una carriera in declino. Mentre un giovane carismatico, arrabbiato con Hollywood per avere infranto i suoi sogni artistici, progetta la sua vendetta violenta in una comunità hippy fuori città, Rick è distratto dall’attrice che recita con lui nella serie tv: una giovane lolita che lo riporta nella magia del cinema.

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Cometa sull’Annapurna – Simone Moro #SimoneMoro #Corbaccio

Simone Moro è un alpinista d’alta quota. In questo libro, il primo che scrive, vuole raccontare la spedizione sull’Annapurna del 1997 che è costata la vita ai suoi due compagni di cordata e che lo ha visto miracolosamente sopravvissuto alla valanga che ha ucciso gli altri e che lo ha fatto precipitare per 800 metri. E così parte dalla sua infanzia e cerca di spiegare come mai ha fatto della montagna il suo mestiere, perché scalare è la sua vita e che cosa significa per lui raggiungere la vetta. Ci racconta le sue esperienze, le sue paure, i suoi dubbi e la grande, indimenticabile amicizia con Anatolij Bukreev, il grande alpinista kazako morto sull’Annapurna. Perché erano lì in pieno inverno? Come mai avevano deciso di affrontare quella parete in una stagione così ostile? Quale era il loro obiettivo? Simone racconta, descrive, spiega. Ci fa sentire il freddo e la stanchezza e poi la solitudine e la disperazione della sua discesa dopo la valanga, con le mani ferite e inutilizzabili, i tendini recisi, e la sensazione di non farcela. Ma il vero dolore Simone lo prova quando non può più sperare nella salvezza dei suoi due compagni. Il suo racconto è però un inno alla montagna e a quell’amico che sarà sempre vivo nel suo cuore.

All’improvviso, è arrivato qualcosa di completamente nuovo nella mia esperienza di lettore. Dopo aver letto il saggio di Byung Chul-Han, “La società senza dolore” cercavo qualcosa di estremo che mi aiutasse a filettare le pieghe dei concetti del filosofo coreano. Tra i tanti consigli ricevuti su libri di scalate mi ha incuriosito più di altri la storia di un’altra spedizione, sul Nanga Parbat, di un altro alpinista italiano, Daniele Nardi, finita nel peggiore dei modi. Documentandomi su questa vicenda ho “incontrato” tra le tante informazioni, un’ intervista a Simone Moro che dava la sua opinione sui fatti. Mi sono innamorato. È stato amore a prima vista tra me e questo cinquantenne bergamasco che parlava e trasmetteva con tanta enfasi le sue emozioni al mio impianto sinaptico. Erano anni, almeno 10, da quando scoprii Paul Auster, che non mi capitava di innamorarmi (da un punto di vista intellettuale) di qualcuno in questo modo, di qualcuno che non fa neanche lo scrittore. Fulminato.

Considerando poi che negli anni ho sviluppato una forma piuttosto grave di Kenofobia, doveva esserci qualcosa che non vedevo ma che mi ha portato a lui. Platone lo chiamava Daimon, io so romano e lo chiamo MECOJONI. Ma veniamo al libro: non voglio dire molto perché raccontando il reportage non posso evitare di spoilerare informazioni che non è giusto che vengano riportate qua, ma possiamo dire (io e la scimmietta che ho nella testa) che questo è un libro bellissimo. È bellissimo per una serie di ragioni che non hanno niente a che vedere la bellezza dei romanzi contemporanei, anche perché non è un romanzo, è un reportage.

È la storia della spedizione sull’Annapurna (e altre storie che hanno il fine di preparare il lettore alle notizie della successiva impresa) di uno dei più bravi alpinisti del mondo. Ed è lui stesso a raccontarcela e a scriverla. Simone Moro non è Nabokov, non ha talento letterario nè una prosa avvincente come Stephen King, ma ha una cosa che probabilmente manca a molti degli scrittori contemporanei, ha passione, e la passione che ha, conseguenza del suo “lavoro” di alpinista, si respira in ogni pagina di questo breve ma ricchissimo reportage. La passione si sente quando parla di amicizia, quando racconta la montagna, quando descrive le sue emozioni, in maniera semplice ma immediata c’è ancora di più quando parla della perdita…

Mi sono rotto le balle di scrivere, potrei andare avanti 16 ore ma si sta freddando l’acqua nella vasca ed io, non essendo acclimatato alle temperature dell’Annapurna rischio di morire di freddo. Leggete questo reportage bellissimo solo per il piacere di leggere una bella storia in cui c’è tutto quello di cui ha bisogno un uomo per sopravvivere.

Daniele Bartolucci

Cometa sull’Annapurna – Simone Moro

Editore: Corbaccio Collana: Exploits Anno edizione: 2003