Patagonia rebelde. Una storia di gauchos, bandoleros, anarchici, latifondisti e militari nell’Argentina degli anni Venti – Osvaldo Bayer #OsvaldoBayer #Elèuthera

“Patagonia rebelde” è stato un libro perseguitato. Negli anni Settanta, in Argentina, l’opera è stata censurata, le copie sequestrate e bruciate. Nonostante il successo della riduzione cinematografica realizzata da Héctor Olivera (Orso d’argento a Berlino nel 1974), la storia è stata poi offuscata dalle “patagonie” estetizzanti alla Chatwin. I protagonisti delle vicende narrate da Bayer sono invece peones, gauchos dalla pelle tagliata dal vento, bandoleros e sindacalisti anarchici. Ribelli dimenticati di un lungo sciopero insurrezionale che nel 1921 li vide occupare le fattorie dei latifondi patagonici con un’armata stracciona che, sventolando la bandiera della rivolta, tenne in scacco per mesi polizia ed esercito. Tra loro un bandolero italiano noto come El Toscano. Storie drammatiche di ribellione e ideali internazionalisti che Bayer racconta con passione, quasi in presa diretta.

Nella Patagonia degli anni Venti un ristretto gruppo di latifondisti argentini e inglesi controllava l’economia della regione impiegando in immense estancias grandi masse di lavoratori rurali indigenti, sottopagati e privi di ogni diritto. La situazione cambiò con la nomina a segretario del sindacato Sociedad Obrera del galiziano di idee anarchiche Antonio Soto la cui guida condusse a buon esito un durissimo sciopero rurale. Soto godette dell’aiuto di un pugno di uomini determinati, tra i quali gli italiani José Aicardi detto il «68» e Alfredo Fonte detto «El Toscano» e vari altri compagni di diverse nazionalità, metà bandoleros e metà rivoluzionari. Organizzarono uno sciopero insurrezionale che raccolse più di seicento lavoratori, soprattutto chilotes, ossia braccianti cileni, e che intimorí proprietari, funzionari e polizia, portando alla conclusione di un accordo favorevole al sindacato. Accordo che gli estancieros rinnegarono puntualmente l’anno successivo, causando un nuovo sciopero dei peones; ma il contesto era cambiato: la banda di «El Toscano» si era sciolta e il governo inviò un reggimento di cavalleria agli ordini del tenente colonnello Varela, che represse con violenza inaudita la rivolta. Si parla di quasi 1500 vittime in larghissima maggioranza lavoratori.

Bayer fa una cronaca dettagliata dei 2 anni dove ad un iniziale vittoria dei sindacati, guidati dall’ anarchico spagnolo Antonio Soto, si contrappone la reazione violenta delle istituzioni e dei latifondisti guidata dal tenente colonnello Verela, il quale a sua volta cadrà vittima per mano dell’anarchico tedesco Wilkens.

Una storia vera che ha dell’incredibile se rapportata ai giorni nostri, dove spesso dimentichiamo quando sangue siano costati i diritti, che oggi per noi sono ovvi. Bayer scrive anche qualche approfondimento biografico di alcuni dei protagonisti di questa vicenda. La lettura è scorrevole e rimane sempre interessante.

Purtroppo credo che siano solo 3 i libri di Bayer tradotti in lingua italiana, un vero peccato, ottimo autore. Esiste anche una bella versione cinematografica dei fatti, girata nel 1974, che si può vedere su YouTube. Una storia tristemente sconosciuta, che merita di essere letta e raccontata.

Alessandro Muro

Traduttore: Alberto Prunetti Editore: Elèuthera Anno edizione: 2009

In commercio dal: 19 novembre 2014 Pagine: 159 p., ill. , Brossura

Chesil Beach – Ian McEwan #IanMcEwan #ChesilBeach #recensione

Erano adulti, una buona volta, in vacanza, e liberi di fare di testa loro. In capo a pochi anni, anche gente senza pretese si sarebbe comportata esattamente così. Ma per adesso, i tempi lo impedivano. Anche quando erano soli, migliaia di regole tacite continuavano a essere in vigore per Edward e Florence. Proprio perché erano adulti, non potevano abbandonarsi a gesti puerili come alzarsi da tavola snobbando piatti che qualcuno si era preso la briga di cucinare. Era ora di cena, no? E poi, essere infantili non era ancora onorevole, e neppure di moda.

Come ci spiega il poeta inglese Philip Larkin, c’è stato un momento negli anni Sessanta in Inghilterra, un po’ prima della rivoluzione sessuale e dei primi LP dei Beatles, un poco dopo la storica sentenza di assoluzione della Penguin Books per aver pubblicato L’amante di Lady Chatterley di D.H. Lawrence, in cui la società si muoveva verso la modernità in campo sociale e sessuale, ma con qualche passo indietro verso il perbenismo delle generazioni integerrime che avevano fatto la guerra e consideravano ancora il matrimonio l’unico contratto possibile per le famiglie, nel quale i due contraenti passavano dal ruolo di bambocci a quello di adulti nel giro di poche settimane, liberi di vivere nel mondo solo dopo sposati, mai prima.

McEwan in Chesil Beach racconta la storia di una di queste giovani coppie, Edward e Florence, la sera della loro prima notte di nozze, due ventiduenni laureati, vergini, ignari di tutto ciò che riguardi il sesso o il matrimonio. Lei è di estrazione più alta di lui, lui vorrebbe continuare con gli studi di storia ma riluttante accetta un lavoro dal futuro suocero; in ogni caso si piacciono, si amano, e se lo ripetono spesso; però si conoscono poco, in fondo, perchè vivono in un’epoca in cui le relazioni prima del matrimonio nel loro ceto devono essere asessuate, e non si può parlare di argomenti intimi nemmeno tra fidanzati. Sono un prodotto del loro tempo, che non li aiuta: la donna non deve essere corrotta, il sesso è solo accettabile solo se sanzionato dal matrimonio, tutto quello che c’è da sapere su una relazione e sul proprio partner lo si scoprirà man mano vivendo insieme, non prima. Le loro differenze, però, non sono poi così superficiali; i loro due mondi collideranno in modo alquanto drammatico, e noi assisteremo al confronto grazie alla innata empatia di McEwan e al suo raffinato -ma non impietoso – lavoro di dissezione dell’animo umano, in un romanzo che, come è suo marchio di fabbrica, si declina quasi tutto nella mente dei protagonisti.

“Gli sposi rimasero soli un momento, anche se udivano rumore di posate contro i piatti, e il mormorio dei ragazzi alla porta. Edward appoggiò una mano su quella di Florence e per la centesima volta della giornata disse con un filo di voce: “Ti amo”, e lei ricambiò all’istante, perché era verissimo.”

Chesil Beach è un buon libro, una profonda indagine psicologica condotta magistralmente, scritto magnificamente, non si può criticare un autore così bravo; ammetto però di non aver gradito il fatto che la narrazione sia interrotta da due parti di flashback, abbastanza consistenti, usate per presentare il passato prima del protagonista maschile e poi della controparte femminile, episodi inframmezzati da un capitolo nel presente, per ritornare di nuovo indietro. Ho trovato la narrazione piuttosto scollegata, in questo modo, il fluire della storia poco riuscito, ma ovviamente è una mera opinione mia.

Quello che mi è piaciuto davvero è in fondo la storia di due persone il cui vero dramma non è essere inesperti o repressi, ma l’incapacità di parlare, di esporsi davvero a quella persona che si è scelto di avere al fianco per la vita.E di come

E’ un libro che si conclude parlando delle occasioni perdute e di come a volte si perdano anche solo rimanendo immobili, del tempo che scorre inesorabile sul passato, della nostalgia di futuri che non si sono avuti. Non un libro perfetto ma intenso e molto bello.

“Spesso, quando era triste, si era domandata che cosa desiderasse di più al mondo in quel momento. Nel caso specifico, non aveva il minimo dubbio. Si vide alla stazione di Oxford, al binario del treno per Londra: le nove del mattino, custodia del violino in mano, un fascio di spartiti e qualche matita ben temperata nella sacca di tela sulle spalle, diretta alle prove del quartetto, a un incontro con la bellezza e la difficoltà.”

Lorenza Inquisition