Questo è il libro di un uomo innamorato.
Si può narrare l’amore per una donna come si può narrare l’amore per un Paese. Ed è dell’amore per un Paese, il Messico (il “suo” Messico) quello del quale ci racconta Cacucci in un libro che si avvia a compiere vent’anni.
Non ci sono dubbi che si tratti d’amore, perché se alla fine della lettura la prima cosa che si vorrebbe poter fare è correre a comprare uno zaino leggero, riempirlo di jeans e magliette e precipitarsi in aeroporto prenotando il primo volo, significa che chi ha scritto non si è limitato ad una sterile descrizione di luoghi, ma ha arricchito ogni parola di passione vera e sentita.
Il libro è diviso in tre parti: Città del Messico (El Monstruo), il Nord e il Sud. Ogni parte è una riuscitissima mescolanza di storia, di leggende, di descrizione di paesaggi e di incontri fatti e di esperienze vissute girando per il Messico al di fuori (molto al di fuori) dei soliti circuiti turistici. “La polvere del Messico” è una guida da tenere in tasca e consultare se si ha la fortuna di poter fare questo viaggio, ma è anche l’affascinante resoconto di un viaggio altrui che permette di fantasticare comodamente seduti sul divano. C’è voluto del tempo per leggere questo libro, molto più di quanto ne richieda di solito un volume di neanche 300 pagine. Il fatto è che ad ogni pagina andavo a cercare in rete le immagini di quello che stavo leggendo, scoprendo piano piano un mondo che minaccia davvero di catturarti e non lasciarti più andare.
I paesaggi maestosi, i colori accecanti, gli abiti tipici e i fiori, i villaggi dove il tempo si è fermato, le sfacciate contraddizioni tra ricchezza e povertà, le leggende e le tradizioni, le partite ad ulama (una specie di calcio dove il pallone può essere toccato solo con i fianchi), le lotte impari al confine con gli Stati Uniti, il ricordo dei poeti della Beat Generation che ancora si respira in alcune cittadine di frontiera, i combattimenti dei galli e l’atmosfera senza pari delle cantinas sperdute in qualche remoto villaggio dimenticato sulla Cima del mondo, l’inevitabile borrachera perchè quando si beve si beve forte, l’idea di fiaba che evocano nomi come Tzintzuntzan…
Inutile elencare le mille parti che compongono la ricchezza di questo libro. Ma su ognuna di queste parti alleggia la “mexicanidad”: un sentimento che è un misto di amore per le proprie radici, di rimpianto e di perdita difficile da spiegare e di un forte senso d’orgoglio e fierezza per il proprio patrimonio culturale.
Non è uno stupido, Cacucci. Non si lascia accecare dal proprio amore. E’ ben conscio dei molti difetti e delle mancanze della creatura amata, ma pur essendone consapevole ne esalta i punti di forza, i meriti, gli aspetti migliori, che sono la stragrande maggioranza. Non è amore, questo?
“E’ giusto che ci sia un oceano e non un semplice confine a separare due mondi così estranei l’uno dall’altro. Non si tratta di capire, ma di accettare che possano ancora esistere dimensioni senza tempo, immuni allo scorrere dei secoli, dove i nostri valori perdono di senso. Bisogna crederci, nient’altro. A volte con rabbia, la rabbia di sentirsi estranei e comunque lontani, anche di un solo passo. E con infinita passione. Ma soprattutto con l’abbandono di chi rinuncia a cercare spiegazioni.”
Ps: tempo fa qualcuno ha parlato di questo libro. Non mi ricordo chi. In ogni caso: grazie. Ottima segnalazione.
Anna LittleMax Massimino