Pino Cacucci – Quelli del San Patricio #pinocacucci

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Strinse le labbra e scosse la testa. Mi limitai a salutarlo portando la mano sul cuore. In fin dei conti, la colpa di tutto stava proprio lì, nella parte sinistra del petto.

La storia romanzata, ma non troppo, del leggendario Batallón de San Patricio, formato da soldati di origine (per lo più) irlandese che, durante la guerra tra Messico e USA svoltasi tra il 1846 ed il 1848 (di fatto, un’invasione degli Stati Uniti allo scopo – alla fine realizzato – di annettersi una larga parte di quello che sino ad allora era territorio messicano), disertarono dall’esercito statunitense e combatterono a fianco delle truppe messicane (dove pure non mancavano le teste di cazzo, a partire dal supremo comandante Antonio de Padua María Severino López de Santa Anna y Pérez de Lebrón; in sintesi il generale Santa Anna).

Una storia già cantata pochi anni orsono dai Chieftains in compagnia di Ry Cooder e qui narrata da Pino Cacucci, ancora una volta alle prese con il suo amato Messico.
O, volendo, la storia scritta, per una volta, dalla parte degli sconfitti.

Erin Go Bragh!
(o ¡Que viva México!, a vostra discrezione)

Luciano Re

Seconda metà dell’Ottocento, Veracruz. John Riley, accanto all’amata Consuelo, torna con la memoria agli anni in cui si è battuto a fianco dei messicani contro l’esercito degli Stati Uniti e le milizie volontarie del Texas, i terribili ranger. In circa due anni di sanguinose battaglie, il paese a sud del Río Bravo perde, oltre al Texas, buona parte del suo territorio. E si registra un fenomeno singolare: molti degli irlandesi arruolatisi nelle file statunitensi disertano per unirsi ai messicani. Tra questi, anche il tenente di artiglieria John Riley che, a capo del Batallón San Patricio, diventa l’incubo degli invasori: abili artiglieri e temibili fanti d’assalto, riescono spesso a compensare l’enorme disparità di armamenti. Dopo l’ultimo scontro nei sobborghi di Città del Messico, i vincitori si accaniscono con inaudita ferocia sui pochi superstiti del San Patricio: li impiccano tutti, tranne uno, il tenente Riley, perché era passato con i messicani prima che la guerra fosse formalmente dichiarata. Ma anche per lui la punizione dev’essere esemplare: flagellazione e marchiatura a fuoco sul volto. E dopo le battaglie torna l’onda della memoria: la povertà, la fame, la fuga dall’Irlanda e, insieme all’orrore delle stragi, il ricordo della conflittuale amicizia con il capitano Aaron Cohen, ufficiale di West Point di origini ebraiche. Cohen e Riley sono le due facce di una stessa medaglia: da una parte l’uomo che continua a credere fermamente nella possibilità di “costruire un grande paese democratico”, dall’altra il ribelle che sceglie di combattere con i perdenti – per rabbia, ma anche per dignità. Quelli del San Patricio è una grande storia epica di sangue, di sentimenti, di idee: accende la fame di giustizia, il sogno di una patria gentile, il calore dell’amicizia e della lealtà.

 

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Pino Cacucci, La polvere del Messico

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Questo è il libro di un uomo innamorato.
Si può narrare l’amore per una donna come si può narrare l’amore per un Paese. Ed è dell’amore per un Paese, il Messico (il “suo” Messico) quello del quale ci racconta Cacucci in un libro che si avvia a compiere vent’anni.

Non ci sono dubbi che si tratti d’amore, perché se alla fine della lettura la prima cosa che si vorrebbe poter fare è correre a comprare uno zaino leggero, riempirlo di jeans e magliette e precipitarsi in aeroporto prenotando il primo volo, significa che chi ha scritto non si è limitato ad una sterile descrizione di luoghi, ma ha arricchito ogni parola di passione vera e sentita.

Il libro è diviso in tre parti: Città del Messico (El Monstruo), il Nord e il Sud. Ogni parte è una riuscitissima mescolanza di storia, di leggende, di descrizione di paesaggi e di incontri fatti e di esperienze vissute girando per il Messico al di fuori (molto al di fuori) dei soliti circuiti turistici. “La polvere del Messico” è una guida da tenere in tasca e consultare se si ha la fortuna di poter fare questo viaggio, ma è anche l’affascinante resoconto di un viaggio altrui che permette di fantasticare comodamente seduti sul divano. C’è voluto del tempo per leggere questo libro, molto più di quanto ne richieda di solito un volume di neanche 300 pagine. Il fatto è che ad ogni pagina andavo a cercare in rete le immagini di quello che stavo leggendo, scoprendo piano piano un mondo che minaccia davvero di catturarti e non lasciarti più andare.

I paesaggi maestosi, i colori accecanti, gli abiti tipici e i fiori, i villaggi dove il tempo si è fermato, le sfacciate contraddizioni tra ricchezza e povertà, le leggende e le tradizioni, le partite ad ulama (una specie di calcio dove il pallone può essere toccato solo con i fianchi), le lotte impari al confine con gli Stati Uniti, il ricordo dei poeti della Beat Generation che ancora si respira in alcune cittadine di frontiera, i combattimenti dei galli e l’atmosfera senza pari delle cantinas sperdute in qualche remoto villaggio dimenticato sulla Cima del mondo, l’inevitabile borrachera perchè quando si beve si beve forte, l’idea di fiaba che evocano nomi come Tzintzuntzan…
Inutile elencare le mille parti che compongono la ricchezza di questo libro. Ma su ognuna di queste parti alleggia la “mexicanidad”: un sentimento che è un misto di amore per le proprie radici, di rimpianto e di perdita difficile da spiegare e di un forte senso d’orgoglio e fierezza per il proprio patrimonio culturale.

Non è uno stupido, Cacucci. Non si lascia accecare dal proprio amore. E’ ben conscio dei molti difetti e delle mancanze della creatura amata, ma pur essendone consapevole ne esalta i punti di forza, i meriti, gli aspetti migliori, che sono la stragrande maggioranza. Non è amore, questo?

“E’ giusto che ci sia un oceano e non un semplice confine a separare due mondi così estranei l’uno dall’altro. Non si tratta di capire, ma di accettare che possano ancora esistere dimensioni senza tempo, immuni allo scorrere dei secoli, dove i nostri valori perdono di senso. Bisogna crederci, nient’altro. A volte con rabbia, la rabbia di sentirsi estranei e comunque lontani, anche di un solo passo. E con infinita passione. Ma soprattutto con l’abbandono di chi rinuncia a cercare spiegazioni.”

Ps: tempo fa qualcuno ha parlato di questo libro. Non mi ricordo chi. In ogni caso: grazie. Ottima segnalazione.

Anna LittleMax Massimino