Ed McBain #EdMcBain

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E’ circa un mese che non leggo seriamente, un po’ perchè luglio è stato mese di concerti e un po’ perchè ogni tanto mi viene la fiacca e mi stravacco a leggere solo romanzi rosa e gialli. Parlando di gialli, adesso sono nel gorgo di McBain, con i ragazzi dell’87simo distretto. Il primo libro del suo ciclo l’avevo trovato ragazzetta nella libreria di mio padre, un vecchio giallo Mondadori di quelli ancora a due colonne. Carella e Meyer vestivano ancora con giacche e cappelli al lavoro nel quotidiano, e gli anni Settanta erano appena cominciati. Sedici agenti dove non ne sarebbero bastati cento…”, parte così la descrizione dell’organico dell’87simo distretto di polizia di New York. In qualche modo anticipando l’invenzione di Hill Street Blues, Ed McBain trova una formula innovativa rispetto alle tradizionali figure di poliziotti e canoni thriller di detective privati: qui ad indagare è un gruppo e, a seconda dei casi, vediamo all’opera questo o quel detective.

Tutti loro mi hanno accompagnato per trent’anni, e a volte quando uno scrittore italiano dopo 4 romanzi già arranca con trama e personaggi messi lì un po’ come marionette a fare sempre le stesse cose tanto per soddisfare il lettore, senza avanzare mai e cambiare mai niente, tipo DeGiovanni con Ricciardi, penso a MCBain che è andato avanti quarant’anni con pochissimi cali di stile e una sbirillionata di nuove trame, situazioni e storie. Ancora non mi capacito che non leggerò mai più niente della Città.

La città non potrebbe essere che una donna… tu conosci la bella testa di questa città, incorniciata dalle chiome ramate delle foglie d’autunno… ne conosci la curva morbida del seno, là dove il fiume glielo modella con una striscia lucente di seta azzurra. Il suo ventre, il porto, ti è familiare quanto i suoi fianchi che si chiamano Calm’s Point e Majesta. È una donna, la tua donna e in autunno usa un profumo che è un misto di fumo e di carbone, un odore di polvere e di muschio che si leva dalle strade, dalle macchine, dalla gente… L’hai veduta in abiti da lavoro e vestita a festa. L’hai ammirata di notte liscia e lucente come una pantera… l’hai conosciuta ardente e capricciosa, affettuosa e piena di rancore, mite e altera, crudele e ingiusta, dolce e pungente…”

Quando è morto è stato uno dei più brutti colpi di sempre. Vabbene non sarà stato Eco o Marquez ma gli volevo bene davvero.

Lorenza Inquisition

Lady Sings the Blues – Billie Holiday – William Dufty #BillieHoliday

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William Dufty era un giornalista e scrittore del New York Times, che conobbe quella che poi sarebbe diventata sua moglie, Maely, durante la Seconda Guerra Mondiale. La signora viveva vicino ad Harlem da tempo, ed era amica e confidente di una cantante jazz che cominciava a diventare molto famosa in quegli anni. Erano anzi così amiche che anni dopo, alla nascita del primo figlio di William e Maely, la cantante, che si chiamava Billie Holiday, tenne a battesimo come madrina il bambino. William Dufty frequentava regolarmente Lady Day, divennero amici e confidenti, e nel 1954 cominciarono a lavorare alla biografia della cantante, che divenne qualche tempo il libro di cui sto parlando, Lady sings the blues.

Una critica riconosciuta da anni a quest’opera è la sua inaccuratezza storica, in quanto Dufty si limitò a trascrivere le storie che gli raccontava Billie Holiday senza preoccuparsi, prima di pubblicarle, di controllarne l’autenticità, perchè il suo scopo non era scrivere un libro, ma lasciare che Lady Day raccontasse la sua storia a modo suo. Ciò non vuol dire necessariamente che la cantante mentisse in modo spudorato e senza timore: semplicemente significa che in molti casi la signora raccontava la sua versione di una vicenda passata, senza contraddittorio. Questo, è ovvio, può essere fastidioso come concetto se si vuole leggere una biografia come studio storico. A me però piace ricordare un commento lasciato da una giornalista al riguardo, che ho trovato molto sensato: “Questo libro non è Billie Holiday che si siede alla macchina della verità e fallisce su alcune domande. Questo libro deve essere letto come un’ultima, imperitura performance di Lady Day, che parla e riversa il suo cuore non attraverso note e canto, ma con le sue parole e i ricordi”.

Mi piace questo concetto, perchè penso che molto di questo libro sia vero, al di là di tutto.  Billie Holliday visse una vita dura, difficile e dolorosa; aveva un incredibile talento, sperperò quasi tutto il denaro guadagnato in droghe, prestiti ad amici, aiuti alla madre. Fu abusata da bambina, subì violenze di ogni tipo, si prostituì a 14 anni, fu cresciuta da una madre che aveva appena 15 anni più di lei, e visse tutta la sua vita in piena segregazione razziale. Nessuno può attraversare tragedie simili uscendone del tutto sano e felice, eppure in tutto il libro, la sua voce racconta in modo tranquillo, e a volte persino allegro, di come tutto il suo passato rimase sì con lei per sempre, ma senza quasi mai sopraffarla. Penso che quello che piace in questa storia sia come Lady Day racconti cose orribili a volte piangendosi un po’ addosso per conforto, a volte in modo più sereno, sempre comunque con sincerità. Piace perchè è così che funziona per tutti, accetti quello che puoi, superi quello che riesci, vai avanti un po’ alla volta, a volte anche facendo passi indietro. In questo, nonostante certe storie esagerate o poco accurate, è un libro vero, e rimane con te per questo motivo, con la voce splendida di Billie e i suoi occhi che sembrano essere lì a sorriderti mentre ti dice Mangiati un po’ di questo pollo fritto di mamma, giuro che non ne hai mai assaggiato di così buono.

“I’ve been told that nobody sings the word ‘hunger’ like do. Or the word ‘love’… All I’ve learned is wrapped up in those two words. You’ve got to have something to eat and a little love in your life before you can hold still for any damn body’s sermon on how to behave. Everything I am and everything I want out of life goes back to that.”

Sono sessant’anni che Billie Holiday ha pubblicato la sua storia, e ancora non siamo capaci di imparare questa sua semplice lezione di vita.

Lorenza Inquisition