Tutto quello che è un uomo – David Szalay #Adelphi #LoSconsiglio

Categoria: Lo Sconsiglio

Buonasera cinquantine e cinquantini, stasera vi parlo di quest’opera. Buona lettura!

«Non piove più. Dai finestrini della carrozza vedono cose. Un tratto commemorativo del Muro, zeppo di graffiti psichedelici. Un mondo che loro non ricordano. Sono troppo giovani. Sole sulla striscia di terra vuota, sole che batte dove prima sorgeva il Muro. Sole: attraverso i finestrini della carrozza della S-Bahn, attraverso i loro ricami di impurità, tocca gli occhi strizzati di Simon.
Che ci faccio qui?
Che ci faccio qui?
Il treno sobbalza sugli scambi.
Che ci
Il treno rallenta
faccio qui?»

Ho appena finito “Tutto quello che è un uomo”, di David Szalay. Apparso per la prima volta nel 2016 – e pubblicato in versione tascabile da Adelphi nel 2021-, finalista al Man Booker Prize e vincitore del Gordon Burn Prize. Uno dei libri più consigliati e visti sul web. Peccato che, a me, non sia piaciuto granché. Si tratta, in breve, di una raccolta di racconti i cui protagonisti ripercorrono tutte le tappe della vita di un uomo, dall’adolescenza alla vecchiaia, con ambientazioni che spaziano tra l’Inghilterra, l’Italia, la Croazia, la Polonia, la Germania, l’Ungheria.

Un libro compatto, gelido, avvolto in atmosfere principalmente nebbiose, irrigidite. Contorto come un albero spoglio. Cinico, amaro. La vita illustrata nei suoi aspetti più crudi, depressivi, sporchi, polverosi e squallidi. Protagonisti rinchiusi in sé stessi, amareggiati, delusi, sconfitti, talmente svuotati da non avere nemmeno il coraggio di suicidarsi. Una linea nera che si snoda come una falce che corteggia il tempo lungo il filo della lama. Buoni i primi due racconti iniziali e i due di chiusura, più quello sulla guardia del corpo e la prostituta. Quasi il 50% di tutto il libro, se non erro. Il resto trascurabile, di un discreto rasentante abbondantemente il mediocre. Alcuni pezzetti catturano, sono scritti bene, altri sembrano la masturbazione incerta di un adolescente che, da “grande”, vorrebbe fare lo scrittore. In parte mi spiace di non essere riuscita ad unirmi, con la mia personalissima – e non di alta e obiettiva critica letteraria, sicuramente – esperienza di lettura, all’ondata di entusiasmo generale suscitata da quest’opera. E comunque, in parte, questo entusiasmo mi lascia anche un po’ indignata: probabilmente la gente ha un’idea piuttosto scarsa, di che cosa sia la qualità letteraria. Non giudico i gusti di nessuno, ma trasudare ammirazione e stupore inebetito – come ho letto sul web – per un libro del genere, significa aver davvero letto poco o niente. Anche io ho letto poco e niente. Poco e niente, per lo meno, rispetto al mare magnum della Letteratura degna di questo nome. Però, anche solo di passaggio- e da riprendere, riscoprire: rileggere-, un’idea di autori come Stevenson, London, Conrad, Melville- tanto per citarne alcuni, me la sono fatta. Ma ciò non lo dico per incensarmi, è il mio modo assai contorto di dire che perdete meno tempo a partire da quello che davvero merita. Di ciò che è stato definito Canone non vi piacerà tutto e non capirete tutto, ma sarà molto utile a farvi un’idea molto CRISTALLINA di che cosa sia scritto davvero bene, e che cosa no. Un percorso lungo il quale siamo tutti pellegrini, una vita intera.

Una chicca estratta dal pattume generale:“Il trascorrere del tempo. Ecco cosa è eterno, che cosa non ha fine. E si palesa soltanto nell’effetto che esercita su tutto il resto, sicché, nella propria impermanenza, tutto il resto incarna l’unica cosa che non finisce mai. (…) Questi pensieri sull’eternità del tempo. Nell’eternità del tempo si cela solo un mistero – l’idea che contenga qualcosa che non conosceremo né comprenderemo mai. Uno spazio vuoto, inconoscibile. Come, a Sant’Apollinare Nuovo, quel mosaico con le tende che si aprono sul niente, su una distesa di semplici tessere dorate.”

Giulia Casini, 30/01/2020

Tutto quello che è un uomo – David Szalay

Traduttore: Anna Rusconi

Editore: Adelphi Collana: Gli Adelphi

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Amistad – Alexs Pate #Amistad #LoSconsiglio

Nel caso degli Stati Uniti d’America contro gli Africani dell’Amistad, è opinione di questa Corte che il nostro trattato del 1795 con la Spagna, sul quale la Pubblica accusa ha principalmente basato le sue argomentazioni, sia inapplicabile … non ci rimane quindi che un’alternativa, che esse non siano schiavi, pertanto non possono essere considerati mercanzia, ma sono piuttosto individui liberi con precisi diritti legali e morali incluso il diritto di ingaggiare un’insurrezione contro chi vorrebbe negare loro la libertà.

Nel 1839 la nave negriera La Amistad vide insorgere gli schiavi che trasportava, che in un delirio disperato di furia e sangue sterminarono l’equipaggio al largo di Cuba, impadronendosi del vascello. Lasciarono in vita solo due ufficiali di rotta, perchè non erano in grado di governare una nave, pensando di tornare in questo modo in Africa. In realtà i due superstiti portarono La Amistad al largo delle coste americane, dove venne catturata da una nave della Marina statunitense, che imprigionò gli africani ammutinati come schiavi fuggitivi, e come tali li portò in tribunale per essere processati per furto, omicidio, ammutinamento e vari altri capi di accusa. La disputa sulla proprietà degli schiavi e sui loro -presunti- crimini si intrecciò poi alle separate rivendicazioni nei loro confronti di Spagna e Inghilterra tramite i trattati internazionali. Alcuni esponenti dei movimenti abolizionisti americani tuttavia si interessarono al caso, che ebbe molta eco nella società e tramite la stampa dell’epoca, ed entrò in varie sedi giudiziarie fino ad arrivare alla Corte Suprema, in cui si decretò -con una sentenza memorabile – che le accuse dovevano cadere, perchè quegli accusati  non erano nati schiavi in una piantagione, ma bensì uomini liberi nella propria terra di origine; erano dunque prigionieri rapiti dalle loro case e portati di forza in un Paese straniero per essere illegalmente venduti, e di conseguenza ogni accusa nei loro confronti doveva cadere.

Mi interessava leggere questo libro per l’argomento, che affronta i primi anni di nascita del movimento abolizionista americano da un punto di vista strettamente giuridico, e di una vicenda che segnò un punto importante a favore del movimento di liberazione degli schiavi in America puntando tutto sull’applicazione del diritto legale, sulle fondamenta di una democrazia fatta di applicazione di regole universali e non prescindibili.

Purtroppo l’ho colpevolmente acquistato in fretta, senza realizzare che non è un romanzo storico a sè stante, ma semplicemente la brutta romanzatura della sceneggiatura (ho fatto pure la rima) del film di Spielberg, che già non è uno dei suoi lavori migliori, ma comunque senz’altro più valido di questo lavoro qua, che ho trovato veramente terribile. Quando non è scritto male è piatto, quando ha un momento di caratterizzazione cade nel banale, quando tenta di descrivere appiccica qualche frase a casaccio su un fotogramma del film, insomma, veramente un libro da buttare in doo cesso. Esiste un libro serio sulla vicenda, Mutiny on the Amistad dello storico Howard Jones, non tradotto in italiano però. Ci sono anche altri due titoli, tradotti, ma non li ho letti e non idea di quanto siano validi:

La rivolta della Amistad Barbara Chase Riboud (Autore), M. Donati (Traduttore) e La ribellione dell’Amistad. Un’odissea atlantica di schiavitù e libertà di Marcus Rediker (Autore), F. Peri (Traduttore)

Questo di Alexs Pate non lo comprate, per una volta piuttosto guardatevi il film.

Lorenza Inquisition