Gli aquiloni – Romain Gary #RomainGary

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gli aquiloni


È un giorno d’ombra e sole degli anni Trenta quando, dopo essersi rimpinzato e assopito sotto i rami di una capanna, Ludo scorge per la prima volta Lila, una ragazzina biondissima che lo guarda severamente da sotto il cappello di paglia. Ludo vive a Cléry, in Normandia, con suo zio Ambroise, «postino rurale» tornato pacifista dalla Grande guerra e con una inusitata passione: costruire aquiloni. Non è un costruttore qualunque. Da quando la Gazette di Honfleur ha ironicamente scritto che gli aquiloni dell’«eccentrico postino» avrebbero reso famosa Cléry «come i pizzi hanno costituito la gloria di Valenciennes, la porcellana quella di Limoges e le caramelle alla menta quella di Cambrai», Ambroise è divenuto una celebrità. Belle dame e bei signori accorrono in auto da Parigi per assistere alle acrobazie dei suoi aquiloni, sgargianti strizzatine d’occhio che il vecchio normanno lancia in cielo. Anche Lila vive in Normandia, benché soltanto in estate. Suo padre non è, però, un «postino spostato». È Stanislas de Bronicki, esponente di una delle quattro o cinque grandi dinastie aristocratiche della Polonia, detto Stas dagli amici dei circoli di giocatori e dei campi di corse. Un finanziere che guadagna e perde fortune in Borsa con una tale rapidità che nessuno potrebbe dire con certezza se sia ricco o rovinato. L’incontro infantile con Lila diventa per Ludo una promessa d’amore che la vita deve mantenere. Il romanzo è la storia di questa promessa, o dell’ostinata fede di Ludo in quell’incontro fatale. Una fede che non viene meno nemmeno nei drammatici anni dell’invasione tedesca della Polonia, in cui Lila e la sua famiglia scompaiono, e Ludo si unisce alla Resistenza per salvare il suo villaggio dai nazisti, proteggere i suoi cari e ritrovare la ragazzina biondissima che lo guardava severamente da sotto un cappello di paglia.

La conferma di un autore raffinato ed arguto che con grande abilità racconta storie di straziante umanità, con personaggi delineati, appassionati, ricchi di ironia, di quel “granello di follia” che nasconde profonde sensibilità e ricchezze.
Una storia d’amore, amore di patria, di giustizia, di amicizia, di ideali.
Siamo in Normandia a Cléry negli anni 30 Ludovic Fleury, un ragazzino detto Ludo cresciuto da suo zio Ambroise “un postino rurale” pacifista reduce dalla Grande Guerra con la passione per “gli gnamas” gli aquiloni (“aveva scoperto questa parola in un’opera sull’Africa equatoriale, dove, a quanto sembra, definisce tutto ciò che ha un alito di vita, uomini, moscerini, leoni, idee o elefanti”)
Ludo giovanissimo si innamora perdutamente di Lila, bellissima, aristocratica ragazzina polacca che passa le sue vacanze estive nella tenuta di famiglia in Normandia.
Ludo ha una memoria prodigiosa e Lila sarà sempre con lui anche quando durante l’invasione tedesca della Polonia perderà le sue tracce.

“Se tu ami veramente qualcuno o qualcosa, dagli tutto quello che hai e anche tutto quello che sei”
Gli aquiloni sono il simbolo di quella libertà perduta, dell’alito di vita, della leggerezza che nasconde i grandi dolori e le perdite, sono la speranza mai abbandonata.

“Non vale la pena di vivere nulla che non sia un’opera di immaginazione, sennò il mare sarebbe soltanto acqua salata…”

“Ma i sognatori non erano ben visti; il sogno e la ribellione sono sempre andati a braccetto”

“Da tempo mi si era venuta ad annidare nella mentre un’idea di cui in seguito ho fatto molta fatica a liberarmi, e forse non mi sono mai liberato del tutto.
I nazisti erano umani. E ciò che di umano c’era in loro era la loro disumanità”
Bellissimo, consigliatissimo.

Elena FatichiTraduttore:Giovanni Bogliolo
Editore:Neri Pozza
Collana:Biblioteca

gli aquiloni
È un giorno d’ombra e sole degli anni Trenta quando, dopo essersi rimpinzato e assopito sotto i rami di una capanna, Ludo scorge per la prima volta Lila, una ragazzina biondissima che lo guarda severamente da sotto il cappello di paglia. Ludo vive a Cléry, in Normandia, con suo zio Ambroise, «postino rurale» tornato pacifista dalla Grande guerra e con una inusitata passione: costruire aquiloni. Non è un costruttore qualunque. Da quando la Gazette di Honfleur ha ironicamente scritto che gli aquiloni dell’«eccentrico postino» avrebbero reso famosa Cléry «come i pizzi hanno costituito la gloria di Valenciennes, la porcellana quella di Limoges e le caramelle alla menta quella di Cambrai», Ambroise è divenuto una celebrità. Belle dame e bei signori accorrono in auto da Parigi per assistere alle acrobazie dei suoi aquiloni, sgargianti strizzatine d’occhio che il vecchio normanno lancia in cielo. Anche Lila vive in Normandia, benché soltanto in estate. Suo padre non è, però, un «postino spostato». È Stanislas de Bronicki, esponente di una delle quattro o cinque grandi dinastie aristocratiche della Polonia, detto Stas dagli amici dei circoli di giocatori e dei campi di corse. Un finanziere che guadagna e perde fortune in Borsa con una tale rapidità che nessuno potrebbe dire con certezza se sia ricco o rovinato. L’incontro infantile con Lila diventa per Ludo una promessa d’amore che la vita deve mantenere. Il romanzo è la storia di questa promessa, o dell’ostinata fede di Ludo in quell’incontro fatale. Una fede che non viene meno nemmeno nei drammatici anni dell’invasione tedesca della Polonia, in cui Lila e la sua famiglia scompaiono, e Ludo si unisce alla Resistenza per salvare il suo villaggio dai nazisti, proteggere i suoi cari e ritrovare la ragazzina biondissima che lo guardava severamente da sotto un cappello di paglia.

La conferma di un autore raffinato ed arguto che con grande abilità racconta storie di straziante umanità, con personaggi delineati, appassionati, ricchi di ironia, di quel “granello di follia” che nasconde profonde sensibilità e ricchezze.
Una storia d’amore, amore di patria, di giustizia, di amicizia, di ideali.
Siamo in Normandia a Cléry negli anni 30 Ludovic Fleury, un ragazzino detto Ludo cresciuto da suo zio Ambroise “un postino rurale” pacifista reduce dalla Grande Guerra con la passione per “gli gnamas” gli aquiloni (“aveva scoperto questa parola in un’opera sull’Africa equatoriale, dove, a quanto sembra, definisce tutto ciò che ha un alito di vita, uomini, moscerini, leoni, idee o elefanti”)
Ludo giovanissimo si innamora perdutamente di Lila, bellissima, aristocratica ragazzina polacca che passa le sue vacanze estive nella tenuta di famiglia in Normandia.
Ludo ha una memoria prodigiosa e Lila sarà sempre con lui anche quando durante l’invasione tedesca della Polonia perderà le sue tracce.

“Se tu ami veramente qualcuno o qualcosa, dagli tutto quello che hai e anche tutto quello che sei”
Gli aquiloni sono il simbolo di quella libertà perduta, dell’alito di vita, della leggerezza che nasconde i grandi dolori e le perdite, sono la speranza mai abbandonata.

“Non vale la pena di vivere nulla che non sia un’opera di immaginazione, sennò il mare sarebbe soltanto acqua salata…”

“Ma i sognatori non erano ben visti; il sogno e la ribellione sono sempre andati a braccetto”

“Da tempo mi si era venuta ad annidare nella mentre un’idea di cui in seguito ho fatto molta fatica a liberarmi, e forse non mi sono mai liberato del tutto.
I nazisti erano umani. E ciò che di umano c’era in loro era la loro disumanità”
Bellissimo, consigliatissimo.

Elena Fatichi

Traduttore: Giovanni Bogliolo
Editore: Neri Pozza
Collana: Biblioteca

Stanotte guardiamo le stelle – Alì Ehsani #Feltrinelli #StanotteGuardiamoLeStelle #AlìEhsani

Afghanistan, anni Novanta. In una Kabul devastata dalla lotta tra fazioni, ma non ancora in mano ai talebani, un ragazzino,  Alì Ehsani, gioca a pallone con il suo amico Ahmed. Suo padre racconta di una Kabul di cinema, teatri e divertimenti, ma Alì non ha mai conosciuto la sua città in pace. Un giorno, tornando da scuola, al posto della sua  casa trova un cumulo di macerie. Pensa di aver sbagliato strada, si siede su un muretto e aspetta il fratello maggiore Mohammed, di 17 anni. Ad un certo punto Mohammed arriva e gli spiega che la loro  casa è distrutta e che i genitori sono morti. E cerca di convincerlo a scappare con lui: “Noi siamo come uccelli e voliamo lontano”. Partono insieme per un viaggio che durerà cinque anni, un viaggio/Odissea attraverso Iran, Turchia, Grecia, e infine l’Italia, alla fine del quale arriverà vivo solo uno di loro due.

Ali ha deciso di raccontare la sua storia in un libro, Stanotte guardiamo le stelle, scritto con Francesco Casolo e pubblicato da Feltrinelli. E’ un monologo indirizzato al fratello Mohammed, morto annegato nel Mediterraneo.

L’Afghanistan è un paese in guerra, ma come tutti i bambini di quell’età, Alì non sa cosa sia la guerra, nonostante tutti i giorni un razzo o una bomba distrugga qualche casa vicino la sua.
Un giorno è la sua casa a essere colpita, e i suoi genitori sono all’interno. Alì si trova solo con il suo fratello di qualche anno più grande, la solidarietà dei vicini, e una certezza: da lì devono andar via prima che possono, se vogliono avere un futuro.Il libro è un racconto attraverso l’emozioni, la paura soprattutto, e le percezioni di un ragazzo che avrebbe preferito rimanere a giocare con il suo amico del cuore in qualche strada polverosa di Kabul, in mezzo ai resti di qualche carro armato russo.
C’è spazio per i trattamenti ricevuti nei posti di controllo, per la generosità delle persone, e per la paura di perdere di nuovo tutto da un momento all’altro.
La scrittura è molto semplice, asciutta, e non mi è sembrato che l’autore si sia lasciato andare in rivendicazioni o particolari denunce.

“Chi parla degli emigrati usa spesso la parola ‘disperati’, ma quello che invece penso oggi, a Roma nella mia vita italiana – si legge nel libro – è che non c’è niente di più simile alla speranza nel decidere di emigrare: speranza di arrivare da qualche parte migliore, speranza di farcela, speranza di sopravvivere, di tenere duro, speranza di un lieto fine come al cinema. Penso che sia normale che ogni essere umano cerchi disperatamente di migliorare la propria condizione e in alcuni casi muoversi è l’unico modo per farlo”.

“È difficile per me spiegarlo – scrive Alì – e forse anche per persone con una vita diversa dalla mia capirlo ma, nonostante le mie condizioni siano fin da subito migliorate nel momento in cui ho messo piede in Italia, durante il viaggio non mi sono mai sentito così male come dopo essere arrivato a destinazione. La speranza di andare oltre, di arrivare da qualche parte, mi dava forza, mi dava la sensazione di poter cambiare il mio destino ogni mattina. Magari erano storie che ci raccontavamo ma noi a queste storie ci credevamo. Mi dicevo che ce l’avrei dovuta mettere tutta ma che poi sarei riuscito a realizzare i sogni che tu, Mohammed, avevi per noi: innamorarsi, trovare una casa in cui vivere, avere dei figli e poter camminare a testa alta senza essere continuamente umiliati”.

Roberto Sensidoni