VENERE PRIVATA – Giorgio Scerbanenco #recensione #Scerbanenco @barbarafacciott

scerbanenco
Scerbanenco, di origine ucraina ma di madre italiana, visse a Roma poi a Milano fin dall’infanzia. Figlio di un professore di greco e latino, ucciso in Russia dai rivoluzionari, ebbe una giovinezza difficile. Si adattò a fare qualunque mestiere prima di approdare all’editoria e alla scrittura, fu persino autista nella Croce rossa.
La città di Milano è lo sfondo prediletto di suoi romanzi più famosi, che hanno per protagonista Duca Lamberti, un giovane medico che, radiato dall’Ordine e incarcerato per aver praticato l’eutanasia su una donna malata terminale di cancro, si trasforma in investigatore privato. Il ciclo dei suoi quattro romanzi più famosi inizia nel 1966 con “Venere privata” e prosegue con “Traditori di tutti”, “I ragazzi del massacro” e “I milanesi ammazzano al sabato” che, insieme alla raccolta di racconti “Milano calibro 9”, sono i suoi capolavori.
Con Venere privata siamo nel 1966 e già nel romanzo si parla di eutanasia, un tema non facile.
Scerbanenco era così, ci racconta la figlia Cecilia da me conosciuta in occasione di Bookcity 2016, amava esplorare il mondo di ombre che ci sta sempre di fianco, ci sfiora, un mondo che noi di solito evitiamo, non vogliamo vedere, lui no, lui lo attraversava, lo incontrava. Cecilia ci ha raccontato di come lui abbia sofferto questa vita, facendo i lavori più disparati, sentendosi sempre straniero e andando incontro alle vicende più difficili, incontrando il dolore degli altri con grande sensibilità.
Duca Lamberti, è un rivoluzionario a suo modo, è unico nella scena criminale italiana ed è bello leggere questi romanzi proprio per l’impronta assolutamente originale che li differenzia dalla narrativa americana. Le storie sono dure, i temi sono scottanti: si tratta di prostituzione, droga, alcolismo.
I romanzi prendono il via da fatti realmente accaduti, come in questo caso, il ritrovamento di un rullino con foto compromettenti di alcune ragazze. La scrittura è meravigliosa e le immagini sono molto efficaci.
Duca Lamberti non è un eroe limpido, la legalità non è certo il suo forte, ma conosce profondamente l’animo umano e i suoi grandi limiti e spera, perché “la speranza è un vizio segreto che nessuno riesce a togliersi mai completamente”. Ve ne innamorerete. Daje!

Barbara Facciotto

Billie Holiday – La signora canta il blues #BillieHoliday #Jazz

Una vita per certi versi davvero tragica, ma Billie non si arrende mai all’evidenza:  tutto il libro è pervaso dal rifiuto di ammettere che, nonostante il successo, non se la passa poi così bene. Billie Holiday vede sempre il bicchiere mezzo pieno. E poi, per non sbagliare, lo svuota in un sol sorso e se ne versa un altro, possibilmente liscio e doppio.

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“La mamma e il babbo erano ancora due ragazzi quando si sposarono. Lui aveva diciott’anni, lei sedici, io tre.”
Con queste parole comincia l’autobiografia di Billie Holiday e ti lascia subito intendere che non sarà una vita facile.
Una delle più grandi interpreti di jazz di tutti i tempi si racconta col suo modo rustico e impetuoso di prendere la vita.
Piccolissima, affidata a parenti con cui trascorre un’infanzia trascurata e misera, a nove anni finisce in riformatorio, a undici stuprata , a quattordici fa la prostituta, finalmente a diciassette viene scoperto il suo talento.
Ma non è di certo un letto di rose la sua carriera, per sua ingenuità, per i marpioni che bazzicano il mondo dello spettacolo: di tutti i soldi che guadagna, a lei ne rimangono pochissimi, così, via con alcool, droghe di ogni tipo, la prigione.
In tutto questo, il problema razziale incombe pesantemente: nonostante riempia i teatri, viene discriminata nei bar, nei ristoranti. I bianchi non la vogliono vicina.
Il racconto che fa della sua vita, nonostante la siano accadute cose terribili, ha sempre un tono ottimistico, di sicuro però si avverte un lato doloroso che ha fatto di che si sia autodistrutta sino a morire a 44 anni devastata da alcool e droga.

Questo libro a detta di tutti deve essere letto sapendo che alcuni fatti sono romanzati, e non deve stupire che l’autrice volesse glissare su alcuni eventi tragici della propria vita. Rimane una testimonianza preziosa sia per chi vuole conoscere la sua vicenda artistica e umana, sia per chi vuole scoprire qualcosa di più sulla storia della musica jazz, la segregazione razziale, gli anni della Grande Depressione e molto altro.
Una grandissima, indimenticabile artista; di lei si diceva che cantava le parole “fame” e “amore” come nessuno era mai riuscito a interpretarle.

Raffaella G.

DESCRIZIONE

Dagli slum di Baltimora ai café society di New York, dall’emarginazione razzista al successo e alle frequentazioni eccellenti, dai trionfi mondiali al deserto dei sentimenti e della droga, Billie Holiday non si stanca mai di inseguire quel sogno di dignità umana che, puntualmente contraddetto dalla realtà, trova però compimento nella musica. “Lady Day” parla di sé con franchezza, senza censure, con una scrittura aspra, dura, ruvidamente confidenziale. È la storia di una donna che si fa largo, turpiloquio nei denti, nel “men’s world”, nel “mondo fatto per gli uomini”, facendone il suo campo di battaglia, la sua croce di passione, di talento, di amore. Da qui il vero blues che si libera, tuttora intatto, magico e ulcerato, dalla sua voce.

Billie Holiday (1915-1959) è, con Bessie Smith, la più grande vocalist che il jazz abbia avuto. Lanciata da Benny Goodman, ha cantato con i complessi più importanti degli anni trenta e quaranta, da quello di Teddy Wilson a quello di Count Basie. Celebre il suo sodalizio, anche sentimentale, con il grande sassofonista Lester Young