Destino final – Giancarlo Ceraudo e Miriam Lewin #desaparecidos

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Ai tempi della dittatura argentina guidata da Videla, migliaia di oppositori vennero gettati dagli aerei militari nelle acque del Rio de la Plata. La sofferenza di chi ha perso un affetto e ne conserva il ricordo, aggrappandosi a una vecchia foto, alla lista degli scomparsi, alla visione degli aerei utilizzati per il massacro. Testimoniata nel libro “Destino final” di Giancarlo Ceraudo e Miriam Lewin che verrà presentato il 23 aprile alla fiera dell’editoria Tempo di libri.

http://www.repubblica.it/r2-fotorep/2017/02/23/news/sulle_rotte_della_morte_nell_ultimo_volo_dei_desaparecidos-158987305/

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Pedro Lemebel – Ho paura torero #PedroLemebel #HoPauraTorero

LEGGERE IL MONDO: CILE

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“Così solo, così isolato nel proprio bozzolo, figuriamoci se poteva permettersi di piangere, senza uno spettatore in grado di apprezzare lo sforzo di inscenare una lacrima.”

Questa è la storia di un amore non corriposto nel Cile del 1986, tra un travestito, una magnifica “checca persa”, la Fata dell’angolo, quarantenne bistrattato dalla vita e dai dolori che si nascondono fra le sue rughe e nelle pieghe delle stoffe che ricama, e un giovane studente iscritto al fronte rivoluzionario che tenta di destabilizzare Pinochet. La fata ama lui, e lui ama, disperatamente, la patria. Per qualche mese si frequenteranno, lei sogna il suo amore impossibile, sapendo che dovrà finire, ma la ragione nulla può contro i sogni, si sa. Alla voce limpida e suadente della Fata si contrappongono -non sempre felicemente, per me- le voci del dittatore e di sua moglie, dipinti lui come un vecchio demente che ha ancora guizzi di mostruosità, e lei come un’oca ciarliera. 

La Fata si guadagna da vivere ricamando biancheria per le ricche signore borghesi del regime, e una tovaglia finemente ricamata, ordinata dalla moglie di un generale, è soggetto di alcune delle più belle pagine di questo libro che ho davvero apprezzato: il picnic su un prato montano con la Fata indaffarata a sistemare il pranzo sulla tovaglia mentre guarda il suo giovane compagno intento a prendere appunti, indifferente alla sua presenza, mentre lei sogna.
La tovaglia ritorna quando la Fata si reca a consegnarla alla moglie di un gerarca e lì, dopo averla distesa sul tavolo, ecco prendere corpo visioni di un banchetto dove i generali brindano ai morti ammazzati e il vino si rovescia, inzuppando di rosso gli uccellini e i fiori ricamati e gli angioletti nell’angolo, soggettive di morte che le rendono impossibile lasciare lì la sua tovaglia, la riprende e scappa, fuggendo nelle strade di una Santiago sempre in assedio militare, dove si scontra con la realtà di disordini, lotte contro il dittatore, perquisizioni, fermi e arresti. Infine la tovaglia tornerà per un ultimo banchetto sulla spiaggia, dove i sogni devono svanire inevitabilmente, tra le grida dei gabbiani, il blu del mare e Cuba all’orizzonte.

La Fata vive di passione e filtra la realtà attraverso occhi da sognatrice che distorcono i fatti in favore del melodramma: un’esasperazione del vissuto da “femmina” tipico di un omosessuale che vive in un’epoca che lo emargina e lo costringe a rifugiarsi nella fantasia e nelle emozioni per fuggire alla bruttura e alla violenza del contesto che lo circonda. Forse un vinto da una vita violenta e ingiusta, sempre sul filo della crisi che però trova ogni volta un motivo per un momento di felicità (anche se illusoria, e lo sa). Impossibile non amarlo.

Per il resto, penso che a seconda della propria sensibilità e gusto questo sia un libro che oscilla in modo vario tra le tre e le quattro stelle, lo stile è particolare, barocco ma leggero, la prosa ricca e affascinante. Quando il linguaggio sta per sconfinare nell’osceno, molto finemente qualche pennellata di poesia attenua i toni. C’è qualche stereotipo, c’è l’impossibile confronto con Il Bacio della donna ragno che sta qualche gradino più su, qualche macchietta di ritorno che sempre troviamo nel mondo queer di ogni latitudine. Ma sono peccati minori, per me, rimane un gran bel libro, poetico, commovente, molto visivo, ma in fondo è nelle mani della Fata la descrizione, e quindi è più che giusto così.

Lorenza Inquisition

“Perché le lacrime delle fate non avevano identità, colore, sapore, non irrigavano nessun giardino d’illusioni. Le lacrime di una fata orfana come lei non vedevano mai la luce, non si sarebbero mai trasformate in mondi umidi asciugati dalla carta assorbente delle pagine letterarie. Le lacrime delle fate sembravano sempre finte, lacrime interessate, pianto di pagliacci, lacrime artificiose, complemento esteriore di emozioni eccentriche.”