Silicon Valley: i signori del silicio – Evgeny Morozov #Morozov #saggio

LEGGERE IL MONDO: BIELORUSSIA

Da ormai dieci anni siamo ostaggio di due tipi di svolte radicali, che ci sono state gentilmente offerte da Wall Street e dalla Silicon Valley. Insieme non fanno che riproporre la scena del poliziotto buono e di quello cattivo: mentre Wall Street predica scarsità e invoca austerità, la Silicon Valley celebra abbondanza e innovazione.(…) e poi è successo qualcosa di strano: non si sa bene come abbiamo finito per convincerci che queste due svolte, queste due presunte rivoluzioni non avessero niente a che fare l’una con l’altra, quando in realtà si alimentano a vicenda”.

silicon

Evgeny Morozov è un giornalista e sociologo nato in Bielorussia ma naturalizzato americano, dottorando ad Harvard, che insegna alla Stanford University. E’ noto per le sue posizioni controcorrente e molto critiche verso l’ottimismo di tendenza nei confronti delle presunte virtù democratizzanti della rete, propugnato dalla maggioranza degli utenti.

Questo libro, edito nel 2016 per Codice Edizioni, è la riproposizione di alcuni  saggi pubblicati da Morozov su varie riviste, molto interessanti e degni di riflessione. A parte qualche inevitabile ripetizione dovuta alla struttura, il libro tratta tre argomenti fondamentali: innanzitutto, il problema dell’invasività nella sfera della privacy da parte delle grande aziende della Silicon Valley. Per Morozov, la pericolosità in questo senso di giganti come Google e Facebook, per esempio, non è adeguatamente percepita dai commentatori e dai semplici cittadini: quando, con facilità e immediatezza, si fruisce dei servizi che ci vengono offerti in rete da Google e da altre aziende, è facile illudersi che ciò avvenga in maniera gratuita, un’illusione da cui ricaviamo quel senso di libertà normalmente associato al muoversi in rete. Ma questa sensazione di libertà non corrisponde di fatto alla realtà: i servizi offerti da queste società non sono affatto gratuiti; anche se non viene richiesto alcun esborso di denaro -al momento- essi sono remunerati con una moneta che consiste nella rinuncia a spazi della propria privacy: di questi spazi i fornitori di servizi si servono per indirizzare la pubblicità, un processo non neutrale, che porta con sé implicazioni geopolitiche importanti. L’introduzione di sempre più oggetti “smart” nelle nostre vite, e delle app che essi portano con sè, lasciano tracce che possono essere unite a tutte le altre  per schedarci in maniera sempre più precisa, addirittura con il nostro implicito consenso quando cediamo volontariamente i nostri dati e parte della nostra vita, come nel caso delle innumerevoli sottoscrizioni che facciamo online.

Ma non solo. Come nell’operato delle fabbriche nel ’900 non veniva calcolato il costo ambientale dell’inquinamento, così ora nessuno ragiona sulla faccia oscura della disruption, lo scardinamento dei modelli di business tradizionali. Mentre i grandi siti ci allettano fornendo servizi a costo più basso, o addirittura gratis, il prezzo occulto in realtà sono le nostre informazioni personali, attraverso le quali le piattaforme consolidano la propria posizione. La grande novità di questi anni nell’economia commerciale di internet, le start up, introducono tra le altre cose il radioso futuro della sharing economy. Però, però. Queste aziende operano secondo un modello pre-welfare: i loro lavoratori godono di reti di protezione sociale minime, e devono farsi carico di rischi che prima riguardavano i datori di lavoro; inoltre, per la struttura stessa di queste start-up, la contrattazione collettiva è ovviamente inesistente. Non è possibile un’organizzazione sindacale, nè una negoziazione per ottenere migliori contributi. Chi vuole lavorare con loro, anche solo come fornitore, deve solo accettarne le regole, altrimenti è fuori, non esiste una terza via di discussione, un intermediario come poteva essere nelle aziende tradizionali – e fisiche – nella figura di un sindacalista, ma anche solo di un notaio, un giudice di pace, uno statuto dei lavoratori. Inoltre. Queste aziende hanno ottime valutazioni ma stati patrimoniali e bilanci d’esercizio stranamente “leggeri”: Uber in fondo non ha bisogno di assumere guidatori, nè Airbnb di possedere case. E soprattutto, invece di aderire a un codice rigoroso e preciso che definisca i diritti dei clienti e gli obblighi di chi fornisce il servizio – la pietra angolare dello Stato normativo moderno- gli operatori di queste piattaforme fanno affidamento sui like, cioè sulla conoscenza diffusa da chi usa il servizio, sperando che sia il mercato a punire chi ha sgarrato. Ma questo mercato della valutazione non è poi così liquido e dinamico: qualche tempo fa negli Stati Uniti alcuni guidatori di Uber si sono rifiutati di trasportare dei passeggeri disabili, non volendo caricare nei bagagliai le loro sedie a rotelle. Se questo accadesse a un taxista, verrebbe denunciato, e processato, per via delle leggi antidiscriminazione. Ma Uber non è una compagnia di taxi, è una piattaforma tecnologica, e d’altronde i suoi guidatori non sono dipendenti: e quindi è chiaro come in un caso come questo non bastino delle segnalazioni di utenti per assicurare un servizio senza discriminazioni: ed è proprio per questo che esistono delle leggi a tutela dei consumatori.

E’ un punto di vista davvero interessante, e se in fondo nessuno nega che la sharing economy -che ha portato il fenomeno di piattaforme come Uber a prosperare – abbia reso le conseguenze dell’attuale crisi finanziaria più sopportabili, rimane il fatto che non sta facendo comunque nulla per rimuoverne le cause.

“Tutto il nuovo mondo economico propugnato dalla Silicon Valley esprime il desiderio di essere “aperto”, “innovativo” e di conseguenza “perturbatore dell’ordine costituito”. Il libero programma  è, per molti versi, esattamente l’opposto dei principi di uguaglianza e giustizia. Le mega aziende del silicio promuovono qualsiasi cosa bypassi le istituzioni come liberatorio e di per sè garantista. Potrai non avere i soldi per pagarti l’assicurazione o l’assistenza sanitaria, ma per loro se hai un’app sul tuo smartphone che ti avvisa ti fare più esercizio fisico, o che non stai mangiando in modo sano, pensano che questo ti abbia risolto il problema”.

Poi c’è la critica del cyber-utopismo. Internet non è, secondo Morozov, il futuro della democrazia, anzi potrebbe rivelarsi un potente mezzo in mano ai governi autoritari, i quali, piegandola ai propri fini, se ne serviranno per esercitare un più efficace controllo sociale di massa, per diffondere propaganda nazionalista ed estremista, per comprimere, negare, o corrodere la libertà di pensiero e di espressione, individuando e perseguitando i dissidenti. I regimi autoritari, secondo l’autore, non sono spettatori che assistono in modo passivo allo sviluppo e all’evoluzione della rete, ma ne sono soggetti partecipi e attivi, dedicandovi energie e risorse, studiando quello che avviene nella rete, cercando di comprenderne il funzionamento e di conoscere il modo in cui vi circolano le informazioni, sia pubbliche sia private; inoltre, si servono del web per tastare il polso alla situazione e orientare di conseguenza la propria azione politica e le scelte repressive.

Alcune delle affermazioni di Morozov mi sembrano davvero troppo distopiche e a onor del vero non del tutto verosimili; trovo che comunque la base del suo ragionamento sia indubbiamente vera e degna di riflessione. Il vero nemico come ce lo spiega lui non è la tecnologia, ma l’attuale regime politico ed economico – una  commistione tra il complesso militare-industriale e la totale mancanza di controllo su annunci pubblicitari e mondo bancario – che sfrutta le più recenti innovazioni portate dalla Silicon Valley per raggiungere i propri scopi, anche se talvolta trasversalmente per noi utenti, piacevoli. Ci promettono più libertà, ma in realtà ci fanno contentare di quello che ci danno, e ci impediscono di immaginare alternative.

E’ un saggio scritto con un linguaggio semplice e a diretto, una lettura veramente interessante per chi vuole approfondire tematiche come la difesa e l’invasione della privacy nei tempi virali dei social network, e di come i governi e le istituzioni potrebbero, o dovrebbero, stare al passo con le inevitabili modifiche che i nuovi modelli economici portano, hanno portato, e porteranno in materia del diritto al lavoro.

Internet non salverà il mondo. Perché non dobbiamo credere a chi pensa che la Rete possa risolvere ogni problema, soprattutto se chi lo pensa guadagna miliardi sulle nuove tecnolgie che vi sta vendendo per pochi centesimi ad applicazione.

Lorenza Inquisition

61 - Morozov_115x180_DEF

Pubblicità

1984 – George Orwell #1984 #GeorgeOrwell

LA GUERRA È PACE.
LA LIBERTA’ È SCHIAVITU’.
L’IGNORANZA È FORZA.

orwell-1984-propaganda

Quando si arriva a non distinguere più il bene dal male e il vero dal falso, quando non sai più nemmeno se tu stesso sei reale oppure immaginario, quando dubiti delle tue stesse parole e dei tuoi stessi pensieri, quando non hai più memoria del passato, allora ecco che il totalitarismo ha sconfitto l’umanità e l’umano. Missione compiuta.
Questo non è solo un romanzo profetico, come sempre abbiamo detto, è un romanzo scritto da una persona che il totalitarismo lo ha vissuto sulla sua pelle, quindi è uno sguardo nel passato e nel presente, è un libro critico sul presente dell’autore, e, solo dopo, un ammonimento severo al futuro.
Ecco che allora preservare la memoria, conservare la lingua originaria, così come l’arte, la scrittura, la cultura, divengono obblighi per chiunque tenga alla libertà.

«Egli era un fantasma isolato, che proclamava una verità che nessuno avrebbe mai udito, ma finché avesse continuato a proclamarla, in un qualche misterioso modo l’umana catena non si sarebbe spezzata. Non era facendosi udire che si salvaguardava il retaggio degli uomini, ma conservando la propria integrità mentale. Tornò al tavolo, intinse la penna nell’inchiostro e scrisse:
Al futuro o al passato, a un tempo in cui il pensiero sia libero, gli uomini siano gli uni diversi dagli altri e non vivano in solitudine… a un tempo in cui la verità esista e non sia possibile disfare ciò che è stato fatto. »

Se verranno distrutte o occultate o modificate le parole, sarà la morte della letteratura, sarà la morte del pensiero libero. Senza pensiero non esiste lettera. Più riduci la capacità di linguaggio, più riduci la capacità di esprimere un concetto e un giudizio, la capacità di riflettere e dunque di agire in conseguenza a quella riflessione.

« Chi controlla il passato controlla il futuro.
Chi controlla il presente controlla il passato. »

Esisterà il bispensiero, la capacità di sostenere due verità opposte tra loro, considerandole entrambe possibili, entrambe sostenibili allo stesso momento.
2+2 farà 4, ma anche 5, se il Grande Fratello deciderà che sia così.

«Il potere non è un mezzo, è un fine. Non si stabilisce una dittatura nell’intento di salvaguardare una rivoluzione; ma si fa una rivoluzione nell’intento di stabilire una dittatura. Il fine della persecuzione è la persecuzione. Il fine della tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere. Sapere e non sapere; credere fermamente di dire verità sacrosante mentre si pronunciavano le menzogne più artefatte; ritenere contemporaneamente valide due opinioni che si annullano a vicenda; sapendole contraddittorie fra di loro e tuttavia credendo in entrambe, fare uso della logica contro la logica; rinnegare la morale propria nell’atto di rivendicarla; credere che la democrazia sia impossibile e nello stesso tempo vedere nel Partito l’unico suo garante; dimenticare tutto ciò che era necessario dimenticare ma, all’occorrenza, essere pronti a richiamarlo alla memoria, per poi eventualmente dimenticarlo di nuovo. Soprattutto, saper applicare il medesimo procedimento al procedimento stesso. Era questa, la sottigliezza estrema: essere pienamente consapevoli nell’indurre l’inconsapevolezza e diventare poi inconsapevoli della pratica ipnotica che avevate appena posto in atto. Anche la sola comprensione della parola “bispensiero” ne implicava l’utilizzazione.»

Orwell si scaglia contro la politica, che detiene ogni leva del potere. Ma si scaglia soprattutto contro l’Idea di un Cosmo Ideale, da qualunque parte politica arrivi questa proposta. Il Mondo Ideale presuppone libertà per tutti, desideri realizzati per tutti. Ma, nella realtà, si verifica solo un mondo prigioniero, incatenato, un mondo dove ogni aspirazione dell’individuo deve essere cancellata e piegata al volere del Potere dello Stato. Lo Stato immutabile per sempre, l’individuo schiavo e finalizzato al solo mantenimento della stabilità del Potere dello Stato. Non c’è più nemmeno un confronto col passato, il passato viene del tutto cancellato, esiste solo questo presente, e solo a questo si può fare riferimento, non puoi fare paragoni e pensare che prima si stava meglio, perchè il prima, semplicemente e terribilmente, non esiste più.

Non c’è la minima speranza, qui. La speranza è morta, vaporizzata, per essere più coerenti col testo.

Non siamo più ne La fattoria degli animali, dura allegoria, ma pur sempre allegoria, e non del tutto chiusa alla speranza di un cambiamento. No, qui siamo all’angoscia totale, alla chiusura di ogni spiraglio, i protagonisti del romanzo sanno cosa li attende ben prima che questo si verifichi, sanno che falliranno. Conoscono la storia dal primo momento, sanno che tutto quel che vivono è dittatura, sanno che si ribelleranno, sanno che saranno piegati. Ed è questo il vero simbolo della sconfitta.

Pochi altri libri sembrano darti la stessa pesante sensazione di soffocamento.

«Dovevate vivere (e di fatto vivevate, in virtù di quell’abitudine che diventa istinto) presupponendo che qualsiasi rumore da voi prodotto venisse ascoltato e qualsiasi movimento — che non fosse fatto al buio — attentamente scrutato.
Prese dalla tasca una moneta da venticinque centesimi. Anche qui, in caratteri chiari e netti, erano incisi gli stessi slogan. Sul rovescio, la testa del Grande Fratello, i cui occhi anche qui parevano seguirvi. E lo stesso valeva per i francobolli, le copertine dei libri, gli stendardi, i manifesti, i pacchetti di sigarette. Quegli occhi vi seguivano ovunque e ovunque vi avvolgeva la stessa voce. Nella veglia o nel sonno, al lavoro o a tavola, in casa o fuori, a letto o in bagno, non c’era scampo. Nulla vi apparteneva, se non quei pochi centimetri cubi che avevate dentro il cranio. »

L’unico vero ed ultimo baluardo al trionfo del Male resta sempre la Letteratura.
La traduzione in “Neolingua” dei classici come Shakespeare, Dickens, Byron resterà il compito più difficile da parte del Regime, quello che richiederà più sforzo e più tempo. Fino ad allora la Dittatura non potrà ancora dire di aver vinto.

Musica: 2+2=5, Radiohead
https://youtu.be/Oz7d6IL2cYc

Carlo Mars