Pyongyang – Guy Delisle #GuyDelisle

Pyongyang – Guy Delisle
Traduttore: F. Martucci
Collana: Varia Anno edizione: 2013
Pagine:184 p., ill. , Brossura

Dopo “Cronache di Gerusalemme” ho letto volentieri “Pyongyang“, dell’autore Guy Delisle, fumettista e animatore canadese che scrive graphic novels di stampo giornalistico.

Questa volta è a Pyongyang per lavoro. Deve supervisionare la produzione di un cartone animato francese dislocata in Corea del Nord, e arriva portandosi a Pyongyang una copia di 1984 di Orwell, qualche cd di Aphex Twin, e regalie in forma di sigarette Gitanes e cognac Hennessy. Nei due mesi di permanenza riesce a farsi un’idea dello stato in cui versa il Paese e lo disegna e racconta con la sua stupenda ironia, chiara e delicata ma nello stesso tempo incisiva.
Non mi dilungo su quanto sia assurdo che esista un paese come la Corea del Nord, credo sia un sentimento condiviso. Ne consiglio la lettura perchè è un fumetto veramente didattico. Come con Gerusalemme, ho imparato qualcosa leggendo uno stile fresco e piacevole e potendo fare le mie riflessioni e i miei giudizi perchè i suoi sono visibili nei cipigli disegnati e nelle espressioni abbozzate, ma lo spazio per il lettore è sempre tanto ed è questo che mi piace di Delisle. Non è imparziale, è abbastanza spregiudicato da prestare 1984 alla guida nord-coreana che gli chiede qualcosa da leggere ma lascia sempre lo spazio al lettore. Per riflettere.

Selena Magni

DESCRIZIONE

Componente della triade tristemente nota come “Asse del male”, la Corea del Nord rimane uno dei Paesi più misteriosi e imperscrutabili del mondo, una nazione-fortezza a cui nei primi mesi del 2001 Guy Delisle ottiene l’accesso (caso più unico che raro per un occidentale) grazie a un permesso di lavoro che gli concede la permanenza nella capitale per due mesi. A capo di una squadra di lavoro che si occupa della produzione di cartone animato francese, il fumettista osserva ciò che può della cultura e della vita dei pochi nordcoreani che gli viene concesso di conoscere nonostante tutte le restrizioni; dai suoi appunti di viaggio nasce il “Pyongyang”, uno sguardo chiaro e personale su un Paese enigmatico, chiuso a doppia mandata dall’interno, che vive costantemente all’ombra gigantesca del padre della nazione – il “Presidente Eterno” Kim ll-Sung – e della “sola e unica dinastia comunista di tutti i tempi”. Prefazione di Antonio Ferrari.

Teo De Luigi – Eravamo solo numeri #GiornoDellaMemoria

eravamo

“Un ragazzo di diciannove anni, uno come quelli che domani avrò di fronte in classe, un giorno di marzo del 1944 decise di incrociare le braccia accanto alla macchina alesatrice alla Piaggio di Finale. Facendo quel gesto così banale non pensava di scegliere il suo destino. Sceglieva solo da che parte stare, e forse neppure quello. Sceglieva solo di non mettersi dalla parte sbagliata, quella dei nazifascisti.
Antonio Arnaldi, detto Tunittu, dopo quell’azione così normale fu deportato a Mauthausen, soffrì ma sopravvisse. Tornò a Finale, riprese a lavorare alla Piaggio e cominciò la sua nuova vita di testimonianza fra i giovani che dovevano sapere.

La sua storia, raccontata nel libro “Eravamo solo numeri” di Teo De Luigi ci ricorda che, se esiste la banalità del male che trasforma la più inconcepibile e inumana efferatezza in un meccanismo  assurdo e burocratico, esiste anche la semplicità del bene”.

Teo De Luigi – Eravamo solo numeri

Quella di Antonio Arnaldi, detto “Tunitto”, l’ultimo deportato di Finale Ligure a Mauthausen. “Tunitto”, scomparso lo scorso settembre a 90 anni, il primo marzo 1944, è un operaio allo stabilimento Piaggio di Finale e partecipa a uno sciopero, uno dei tanti di quel periodo, segnato dalla fine del Fascismo e dalla lotta partigiana al Nord contro l’occupazione tedesca e la Repubblica Sociale. Lo vanno a prendere a casa, e dopo qualche giorno trascorso in trasferimenti tra Genova e Bergamo, finisce imbarcato su un treno diretto ai campi di concentramento. finisce nel campo di Gusen, racconta ciò che ha visto, vissuto e subìto e lo fa a distanza di decenni con un tono asciutto che non contrasta con la drammaticità della storia. I tempi e i ritmi del campo, la sveglia, il lavoro, il terrore di morire da un momento all’altro, la fame. L’assenza di limiti nell’umiliazione delle persone, ciò che ha fatto dire a Primo Levi “Se questo è un uomo”.