Eros in agonia – Byung-Chul Han #ErosInAgonia #ByungChulHan #edizioniNottetempo

Byung-Chul Han è un filosofo, considerato tra i più interessanti nell’attuale panorama culturale. “Eros in agonia” é il primo libro che leggo dell’autore, pubblicato in questa nuova edizione da Nottetempo nel 2019. Forse chi si occupa approfonditamente di Filosofia potrebbe definirlo un testo di “Filosofia divulgativa” ma, al di là delle possibili stratificazioni di complessità, io l’ho personalmente trovato sfidante. Ogni frase apre il cranio in due, e se pensi di averla capita, basta rileggerla qualche minuto dopo per coglierla sotto una sfaccettatura completamente diversa. In qualche raro caso sono riuscita a penetrarne la verità. Non dimenticherò l’incredibile esperienza epifanica che le considerazioni contenute in quest’opera mi hanno consentito di fare. Accenno con brevità al “di che cosa” si parla. L’oggetto di discussione è l’Eros, che nella società contemporanea agonizza. Agonizza nella palude del narcisismo auto-referenziale e intriso di malinconia del “soggetto di prestazione” del neoliberalismo, non più schiavo di un padrone ma di sé stesso, condannato dal capitalismo a ripercorrere continuamente l’inferno dell’Uguale. Ecco come si diventa incapaci di amare, dal momento che l’Amore presume l’esperienza della negatività onirica, intrisa di mistero e atopica, dell’Altro. L’alterità sola rompe con l’Uguale infernale, frutto di un vissuto additivo e soffocato dal potere entropico della positività. L’esperienza erotica si configura come rottura dell’habitus, come rivoluzione inevitabilmente politica, in cui sul “palcoscenico per due” si può davvero andare incontro al futuro di una forma di vita e di una società nuove. Eros si nutre del negativo, dell’irrequietezza e del conflitto che nutrono e fecondano il pensiero, che solo così può addentrarsi nell’impercorso e farsi “philosophos”, amante della saggezza. La saggezza che riscopre il valore illuminante e pre-dativo della teoria che – in contrapposizione alla mera cognizione, che riconfigura in “patterns” il valore additivo e positivo della massa dei dati informativi disponibili oggigiorno- si sviluppa nel silenzio per concludere il mondo in una forma rituale. Continuerò sicuramente la lettura di altre opere di questo autore che, seppur in modo divulgativo, ha dischiuso alla mia anima l’enfasi erotica della Filosofia.

Giulia Casini, 19.01.2021

Descrizione

In questo agile saggio, Byung-Chul Han analizza il controllo delle passioni e delle pulsioni nella società contemporanea come uno strumento essenziale attraverso il quale il potere “addomestica” e manipola la loro forza liberatoria, capace di turbare ogni ordine e modello. Assediato da questo controllo, l’individuo non è più capace di amare e si abbandona a una sessualità sempre uguale. Stiamo diventando immuni all’eros?

Eros in agonia – Byung-Chul Han

Traduttore: Federica Buongiorno

Editore: Nottetempo

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Stanotte guardiamo le stelle – Alì Ehsani #Feltrinelli #StanotteGuardiamoLeStelle #AlìEhsani

Afghanistan, anni Novanta. In una Kabul devastata dalla lotta tra fazioni, ma non ancora in mano ai talebani, un ragazzino,  Alì Ehsani, gioca a pallone con il suo amico Ahmed. Suo padre racconta di una Kabul di cinema, teatri e divertimenti, ma Alì non ha mai conosciuto la sua città in pace. Un giorno, tornando da scuola, al posto della sua  casa trova un cumulo di macerie. Pensa di aver sbagliato strada, si siede su un muretto e aspetta il fratello maggiore Mohammed, di 17 anni. Ad un certo punto Mohammed arriva e gli spiega che la loro  casa è distrutta e che i genitori sono morti. E cerca di convincerlo a scappare con lui: “Noi siamo come uccelli e voliamo lontano”. Partono insieme per un viaggio che durerà cinque anni, un viaggio/Odissea attraverso Iran, Turchia, Grecia, e infine l’Italia, alla fine del quale arriverà vivo solo uno di loro due.

Ali ha deciso di raccontare la sua storia in un libro, Stanotte guardiamo le stelle, scritto con Francesco Casolo e pubblicato da Feltrinelli. E’ un monologo indirizzato al fratello Mohammed, morto annegato nel Mediterraneo.

L’Afghanistan è un paese in guerra, ma come tutti i bambini di quell’età, Alì non sa cosa sia la guerra, nonostante tutti i giorni un razzo o una bomba distrugga qualche casa vicino la sua.
Un giorno è la sua casa a essere colpita, e i suoi genitori sono all’interno. Alì si trova solo con il suo fratello di qualche anno più grande, la solidarietà dei vicini, e una certezza: da lì devono andar via prima che possono, se vogliono avere un futuro.Il libro è un racconto attraverso l’emozioni, la paura soprattutto, e le percezioni di un ragazzo che avrebbe preferito rimanere a giocare con il suo amico del cuore in qualche strada polverosa di Kabul, in mezzo ai resti di qualche carro armato russo.
C’è spazio per i trattamenti ricevuti nei posti di controllo, per la generosità delle persone, e per la paura di perdere di nuovo tutto da un momento all’altro.
La scrittura è molto semplice, asciutta, e non mi è sembrato che l’autore si sia lasciato andare in rivendicazioni o particolari denunce.

“Chi parla degli emigrati usa spesso la parola ‘disperati’, ma quello che invece penso oggi, a Roma nella mia vita italiana – si legge nel libro – è che non c’è niente di più simile alla speranza nel decidere di emigrare: speranza di arrivare da qualche parte migliore, speranza di farcela, speranza di sopravvivere, di tenere duro, speranza di un lieto fine come al cinema. Penso che sia normale che ogni essere umano cerchi disperatamente di migliorare la propria condizione e in alcuni casi muoversi è l’unico modo per farlo”.

“È difficile per me spiegarlo – scrive Alì – e forse anche per persone con una vita diversa dalla mia capirlo ma, nonostante le mie condizioni siano fin da subito migliorate nel momento in cui ho messo piede in Italia, durante il viaggio non mi sono mai sentito così male come dopo essere arrivato a destinazione. La speranza di andare oltre, di arrivare da qualche parte, mi dava forza, mi dava la sensazione di poter cambiare il mio destino ogni mattina. Magari erano storie che ci raccontavamo ma noi a queste storie ci credevamo. Mi dicevo che ce l’avrei dovuta mettere tutta ma che poi sarei riuscito a realizzare i sogni che tu, Mohammed, avevi per noi: innamorarsi, trovare una casa in cui vivere, avere dei figli e poter camminare a testa alta senza essere continuamente umiliati”.

Roberto Sensidoni

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