The Sandman – Neil Gaiman #NeilGaiman #TheSandman

Parlando di fatiche verso mostri sacri, la vostra umile sottoscritta ha deciso di affrontare The Sandman. Per me, Gaiman è un autore amatissimo perchè oltre a fare – BENE, anzi BENISSIMO – quello che fanno i grandi scrittori, e cioè scrivere grandi, grandissime, issime storie, lo fa stuzzicherando generi che a me fanno sdilinquire: epica greco romana e norrena, mitologia, fantasy, horror, noir, letteratura angloamericana e film e televisione. The Sandman è un po’ la summa di tutto ciò, e soprattutto è una dichiarazione di amore epica per il racconto e il raccontare: è l’amore per le storie, per chi racconta i sogni (gli autori), e per chi in quei sogni ci crede (noi lettori/sognatori), celebrato in un infinito racconto loop di mitologia, Storia, Letteratura e cultura pop.

Sto perdendo tempo perchè me lo assaporo pagina per pagina, e soprattutto mi segno tutti i riferimenti letterari, che sono infiniti e spesso difficili da individuare. Che bel giuoco!

Lorenza Inquisition

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Quindici tituli 2017 #2017 #liste #libri

Quindici libri scelti tra tutti quelli letti nel 2017, anche se ne ho lasciati fuori almeno altrettanti di davvero significativi. Ma le liste si fanno anche un poco di pancia, senza troppa seriosità. Quindi, ecco i 15, con levità, amore, ed emozioni a tavoletta. Qualcuno era una rilettura, altri li ho scoperti quest’anno, tutti mi hanno lasciato, o ri-lasciato, qualche cosa di buono e bello.
Un buon anno a tutti voi, cari amici di letture!
Lorenza
1) It – Stephen King.
Vabbè dai. Ma di che stiamo parlando? Credo che questa sia stata la sesta rilettura, per me, ma potrei aver già sconfinato nella settima. Voglio solo dire una cosa: è tornato in auge quest’estate perchè è uscito il film (e il film è uscito perchè era il trentennale del romanzo, carini), e mi sono dovuta sucare recensioni di gente che non ha letto il libro, ma parla. Parla di Pennywise e dei Perdenti, di Derry e George e che bel film e “mi sentirei di dire ciò”. No, non devi sentirti niente: prendi, e apri il libro, e muto. MUTO!
It è tutto: la paura di non essere accettati, di essere brutti, grassi, gay, neri, poveri, sfigati; la noia di avere genitori invadenti, il vedere per la prima volta quanti difetti possono avere i genitori e amarli ugualmente, lo shock di capire quanto possono essere falsi e ipocriti gli adulti; l’amore per la lettura e i fumetti e il cinema, il diventare grandi la prima volta che si prova ad affrontare un sopruso, il capire che non sempre servirà a qualcosa; il rock’n’roll; la violenza domestica, il femminismo, la vergogna di pensare che accettiamo un certo tipo di abusi da un marito, un amante, perchè in fondo pensiamo di non meritare di più, dalla vita; il profondo imbarazzo di realizzare che non saremo mai dei supereroi, e che a volte essere vigliacchi è tutto quel che resta; tutto quello che eravamo da bambini, in un lungo sogno che è durato un’estate piena di orrore e meraviglia, con i migliori amici di sempre. It è It, è tutto e di più. E siccome bisogna leggerlo almeno due volte nella vita, una da giovani e una da adulti, muovetevi. E RI-MUUUTI.
La tartaruga non ci può aiutare.
2) Il bacio della donna ragno – Manuel Puig.
Capolavoro, intenso, profondo romanzo di eccezionale scrittura, che fonde diversi temi: il fascino del cinema e della storia narrata, il mélo, la critica della repressione sessuale, l’omosessualità, la necessità di opporsi alla soppressione di libertà civili e sindacali, il potere dell’immaginazione e del sogno nella vita umana. La storia toccante di due compagni di cella nell’Argentina degli anni ’70, sotto la dittatura militare del generale Videla: un attivista politico e un mite omosessuale, due persone diversissime che imparano a conoscersi nelle lunghe ore di prigionia tra tortura, malattia, e violenza. Fuori dal carcere non si sarebbero nemmeno parlati, qui superano le barriere e cominciano a “vedersi”, capirsi, volersi bene. Uno dei libri più belli che abbia mai letto di sempre, non solo quest’anno.
“Che c’è di male a essere come una donna? Perché solo le donne dovrebbero essere sensibili? Perché non un uomo, o un cane, o un gay? Se ci fossero più uomini a comportarsi come donne, non ci sarebbe tanta violenza”.
3) L’impero del sole – J. G. Ballard.
La storia semi autobiografica dell’infanzia dello scrittore, trascorsa in un campo di detenzione giapponese dal 1943 al 1945. Come è tipico di Ballard, è il racconto dell’apocalisse di una civiltà conosciuta, in questo caso quella britannica nell’impero cinese, ma anche quella delle divinità genitoriali, ridotte a semplici prigionieri come tutti gli altri esseri umani. Profondo, poetico, toccante, crudo: un bambino che diventa un cinico mezzo adulto e ruba il cibo ai prigionieri malati, ma ha ancora lo spirito per spalancare gli occhi e sognare nuovi mondi oltre l’orizzonte da dove arrivano i bombardieri giapponesi prima, e americani poi. Bellissimo.

Attraverso le finestre della veranda rimase a fissare il giardino inselvatichito. La guerra non cambiava le cose – i cambiamenti, del resto, a lui facevano un piacere immenso –, ma le lasciava tali e quali in atteggiamenti strani e inquietanti. Anche la casa sembrava cupa, come se andasse ritraendosi da lui con una serie di piccoli atti scostanti.

4) Festa mobile – Ernest Hemingway.
Uno dei libri meno conosciuti di Hemingway, l’ultimo sul quale ha lavorato con una certa costanza, uscito postumo: è il racconto poetico e nostalgico degli anni vissuti a Parigi dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, quando lui e la moglie, giovanissimi, poveri, decisero di trasferirsi lì e vivere di arte e amore. Hemingway non era famoso, non era neanche propriamente uno scrittore, solo un corrispondente estero per un giornale. Passava le giornate in un cafè a scrivere per migliorare lo stile, e a parlare di letteratura con il gruppo di intellettuali americani che lì avevano deciso di vivere: Gertrude Stein, Ezra Pound, Ford Madox Ford, Francis Scott Fitzgerald e la moglie Zelda. Frequentava le corse di cavalli e la libreria “Shakespeare & Company” di Sylvia Beach, e quando arrivava l’assegno da corrispondente, si compravano vino e libri. Una Parigi in stato di grazia, una società culturale che non tornerà mai più, spazzata via dopo qualche anno da un’altra guerra per terminare tutte le guerre. Finiti gli anni del sogno, Hemingway scriverà Fiesta, lascerà la moglie, e si incamminerà verso la gloria. I sottotetti di Parigi non torneranno mai più. Per chi è stato giovane e innamorato, per chi ama Parigi, per chi ha mai camminato sotto la pioggia nel profumo di fiori bagnati di primavera, per chi spende da una vita tutti i propri risparmi in libri e dischi.
Poi mentre arrivavo alla Closerie des Lillas con la luce sul mio vecchio amico, la statua del maresciallo Ney con la sciabola sguainata e l’ombra degli alberi sul bronzo, e lui là solo e nessuno alle sue spalle, e al disastro che aveva combinato a Waterloo, pensai che tutte le generazioni erano perdute da qualche cosa e lo erano sempre state e sempre lo sarebbero state.
5) Via col vento – Margaret Mitchell.
Conosciuto come uno dei capolavori del cinema, spesso ci si dimentica che “Via col vento” è prima di tutto un classico della letteratura moderna americana, un romanzo storico del 1936, unico libro scritto da Margaret Mitchell, che ne cominciò la stesura per noia durante un soggiorno forzato a letto per una caviglia rotta. Un successo immane e planetario, che le portò il Pulitzer nel 1937, un romanzo alla cui celebrità contribuì ovviamente l’omonimo colossal cinematografico di Victor Fleming del 1939. Ma noi parliamo del libro: è più crudo, più duro, più vero, più intenso, più razzista. E’ anche meno romantico, nelle sue quasi mille pagine i dialoghi propriamente “amorosi” non sono che una manciata di righe, il sesso è praticamente inesistente, e i baci infuocati due. Tutto il resto è una storia affascinante che contempla la sanguinosa Guerra di Secessione (con tanto di descrizione di armamenti, battaglie, combattenti di tutti i ranghi e posizioni) e la Caduta degli Dei delle casate del Sud, e di come i quattro personaggi principali Rossella e Rhett, e Melanie e Ashley, siano o meno capaci di adattarsi e sopravvivere, o rassegnarsi e scomparire. La caratterizzazione è superba, lo stile scorrevole, la narrazione storica accurata. Un racconto potente, un libro che una volta iniziato è impossibile mettere da parte.
“Sogni, solamente sogni: mai del buon senso.” 
6) Molto forte, incredibilmente vicino – Jonathan Safran Foer.
Un bambino particolare, Oskar, con un papà speciale: un inventore di meravigliose costruzioni col meccano e indovinelli, inesauribile autore di cacce al tesoro, che un giorno non torna più a casa. Non è un giorno qualunque, è l’11 Settembre 2001. Quello che era il mondo di Oskar diventa dolore, silenzio, assenza. Una voragine. Il ragazzino affronta l’immane perdita come può; forse ingenuamente, con la cieca fede dei bambini, comincia a cercare un’ultima traccia del padre, che forse, forse, stava preparando l’ennesimo gioco per loro due, prima di morire. E così Oskar parte allo sbaraglio scandagliando interi quartieri di New York, raccontando alla miriade di persone che incontra la sua storia, con disarmante sincerità. Il piano della sua storia al presente si interseca in più punti con quello del passato dei suoi nonni, tedeschi emigrati durante la seconda guerra mondiale. In un finale inaspettato, troverà  infine l’accettazione che stempera il dolore, la serenità del ricordo che diviene tale solo se riscoperta nel concetto di famiglia. Un libro prezioso, emozionante, una scrittura incredibile.
Ho pensato a tutte le cose che tutti ci diciamo l’un l’altro, e che tutti dobbiamo morire, o fra un millisecondo, o fra giorni, o fra mesi, o fra 76 anni e mezzo se uno è appena nato. Tutto quello che è nato deve morire, e questo significa che le nostre vite sono come i grattacieli. Il fumo sale a velocità diverse, ma le vite sono tutte in fiamme, e tutti siamo in trappola.
7) American Gods – Neil Gaiman.
Il tempo passa per tutti, anche per gli Dei, anche per quelli che per millenni hanno avuto intere civiltà ai loro piedi. Il nuovo continente nel corso dei secoli ha accolto milioni di immigrati, di storie, leggende, credenze, folklore; ma col tempo, l’America ha divorato tutto. Gli antichi totem e templi sono rimasti in Europa, Asia, Africa, spazzati via da guerre, nuove civiltà, nuovi secoli, i sacerdoti morti da tempo immemore, il culto cenere nel vento. Ma qualcuno resiste: tutti gli irlandesi, i norvegesi e danesi, gli indiani e i greci e gli egizi, tutti, anche se vivono in America, ricordano le fate, i folletti, i vrykólakas, Anubi o Parvati. Ma i loro figli e i figli dei loro figli hanno altre divinità cui dedicare tempo, soldi, sacrifici: il dio denaro e internet, la tecnologia e la televisione. Gaiman mette in scena un potente romanzo immaginifico, di grande profondità e intelligenza, dove le nuove e vecchie divinità si scontrano sul suolo americano. Una serie di eventi soprannaturali, bizzarri e violenti che è anche un viaggio nella storia e nella cultura dell’America, a partire dai brutali flashback che rievocano lo sbarco delle divinità antiche, scandinave, africane, celtiche, slave, per proseguire con il viaggio on the road del protagonista Shadow che serve Wednesday, fino all’epico scontro finale. E’ Gaiman, una garanzia di alta narrativa, sia metaforica che  iconografica, e puro divertimento letterario.
«Dunque» domandò lui, «com’è la morte?»
«È dura. Non finisce mai.»

8) Magellano – Stefan Zweig.

Una biografia che è più romanzo che elenco di dati e fatti, avvincente e avventurosa, scritta divinamente da Zweig che racconta l’impresa incredibile dell’ultima sfida dei mari rimasta all’uomo, la più bella, e la più ardua: circumnavigare l’intero globo terrestre, misurando, e così dimostrandone, contro tutti i cosmologi e i teologi del passato, la sfericità. Questa diventa l’idea vitale, il destino di Magellano, uomo scontroso e di poche parole, con un unico, grande sogno, che riuscirà a realizzare dopo anni di preparativi, rifiuti, fallimenti, bocciature e ritardi. Zweig è maestro nel raccontare ma soprattutto nell’intrattenere, raccontandoci ogni incredibile retroscena, gli antefatti storici e la circumnavigazione del globo in tempo reale. Consigliato a tutti gli amanti di romanzi storici e di geografia, così come a chi vuole, semplicemente, un gran bel libro di un epico, avventuroso, primo viaggio intorno al mondo, senza mappe, ricordiamolo, noi che ormai senza Google Maps ci perdiamo sul pianerottolo della zia.

“La storia universale comprende solo quei brevi periodi luminosi che furono per caso rischiarati dalle narrazioni poetiche o erudite.”

9) Mentre morivo – William Faulkner.

Libro non facile, complesso, ma abbordabile con una giusta dose di pazienza e umiltà. E’ sempre Faulkner: è come camminare in un mare di nebbia con due voci che declamano frasi nel vuoto, ogni tanto ti arriva una parola, addirittura una frase; per qualche felice istante, sporadicamente, ti trovi in una radura assolata, e per cinque righe in quel mare di coscienza che ti viene rovesciata addosso capisci qualcosa. Ma subito dopo ritorni nella nebbia, perchè polvere siamo. Perché: Nessuno di noi è del tutto pazzo e nessuno del tutto normale finché il resto della gente lo convince ad andare in un senso o nell’altro. E’ come se non fosse tanto quello che uno fa, ma com’è che lo guarda la maggioranza di noi quando lo fa.

E’ una scrittura straordinaria, di una potenza incredibile. Poi che la mia mente piccina arrivi dove può, arrancando, mica è colpa di Faulkner, è e rimane un romanzo grandioso.

Fu allora che imparai che le parole non servono a nulla; che le parole non corrispondono mai neppure a quello che cercano di dire. […] ho capito che la parola maternità era stata inventata da qualcuno che aveva bisogno di una parola per questo perché quelli che avevano dei bambini non si preoccupavano se c’è una parola o se non c’è. Ho capito che la parola paura era stata inventata da qualcuno che non aveva mai avuto paura: orgoglio da chi non aveva mai avuto orgoglio. […] Anche lui aveva una parola. Lo chiamava amore. Ma io ero abituata alle parole da molto tempo. Sapevo che quella parola era come tutte le altre: solo una forma per riempire un vuoto; sapevo che al momento giusto non ci sarebbe stato più bisogno di quella parola né delle altre, come orgoglio o paura.

10) Cento racconti: Autoantologia 1943-1980  – Ray Bradbury.

Bradbury è uno scrittore che ho sempre molto amato, questi racconti sono una summa di varie raccolte che già avevo in cartaceo ma ho avuto piacere di rileggermeli con calma possedendone l’edizione in e-book. E’ un grande scrittore per me, che spazia in diversi generi: c’è la fantascienza, certo, non tanta, ed è poco tecnica e molto emotiva: non è la descrizione del razzo, è il perchè l’uomo ha voluto costruirlo, quel razzo; guerre di mondi e scenari postatomici, marziani che vivono in dimore incandescenti piene di libri che parlano appena vengono sfiorati, ma anche terrestri che lasciano la Terra per colonizzare altri pianeti e fondare nuove civiltà, la paura l’ansia e la gioia di partire senza sapere cosa troverai al di là della luce. Poi ci sono racconti dell’orrore e thriller psicologici, polizieschi, noir, fantasy, e storie di vita, infanzia, amore e amicizia. Bradbury è l’unico autore che abbia mai letto che riesce a raccontare l’infanza quasi come King, e già per questo io un pensierino a una sua raccolta di racconti lo farei.

Fu in quella settimana che Ann Taylor venne a tenere i corsi estivi alla scuola centrale di Green Town. Era l’estate del suo ventiquattresimo compleanno, l’estate in cui Bob Spaulding compì quattordici anni.
Ann Taylor era l’insegnante a cui tutti i ragazzi volevano portare cesti d’arance e mazzi di fiori rosa, per cui srotolavano le grandi mappe verdi e gialle della Terra senza che gli fosse richiesto. Era quel tipo di donna che sembrava sempre passare per strada nei giorni in cui l’ombra era verde sotto il tunnel di querce e olmi nella vecchia città. E Bob Spaulding era il ragazzo che passeggiava da solo nelle sere di ottobre inseguito da una scia di foglie morte che sembravano un’orda di topi incantati dal flauto magico, o che si poteva vedere in primavera nuotare come un pesce nelle acque frizzanti del ruscello di Fox Hill e arrostirsi al sole fino ad assumere, alla fine dell’estate, il colore lucido delle castagne.

11) Driving Miss Daisy – Alfred Uhry,  A spasso con Daisy.
Testo teatrale dal quale fu tratto il più famoso film, scritto negli anni ’80 per un teatro off-Broadway che aveva bisogno di qualcosa in cartellone per cinque settimane, e che nelle previsioni dell’autore avrebbe dovuto essere l’unico exploit del testo: era un’opera specifica ambientata in un posto e in un tempo molto precisi della sua infanzia, e non pensava che molti vi si sarebbero potuti identificare. Ma le rappresentazioni durarono per tre anni consecutivi, durante i quali fu tradotta in diverse lingue ed esportata in decine di Paesi, per finire anche al cinema, e quindi, ammise Uhry, mi sa che mi sono proprio sbagliato sul fascino di quest’opera e su quello che aveva da dire. Miss Daisy e il suo autista di colore vivono nel sud razzista dell’America degli anni ’50; gli anni passano e i due invecchiano insieme, una strana coppia che impara a rispettarsi e ad accettarsi totalmente, pur avendo sempre ben chiaro che il tempo e le circostanze in cui vivono non permetteranno mai a nessuno dei due nulla di più di una calorosa stretta di mano in pubblico. E’ un’amicizia, la loro, profonda e vera, che commuove proprio perchè due persone che vivono in un’epoca che non li considera socialmente nè soprattutto umanamente pari, imparano a conoscersi e poi rispettarsi nonostante i paraocchi che la loro educazione e la società hanno imposto.
“Dice che le cose stanno cambiando, ma non sono cambiate mica tanto!”

12) Tra me e il mondo – Ta-Nehisi Coates.Testo durissimo, vincitore del National Book Award 2015 per la saggistica, il razzismo spiegato a un figlio, e a coloro che si credono bianchi. Eccezionale scritto in forma di lettera al figlio quindicenne dell’autore, è la risposta amara di un padre alle domande di un ragazzo nato in America e che ha visto uccidere sul suolo americano uomini e donne afroamericani disarmati, per futili ragioni o addirittura senza nessun motivo, i responsabili altri americani, quasi mai processati e comunque sempre assolti: «Così ora sai, se non l’avevi già capito prima, che alla polizia del tuo paese è stata conferita l’autorità di distruggere il tuo corpo». Un’analisi impietosa sulla società statunitense che si estende al mondo intero, perchè in fondo ogni paese ha i propri neri: «Forse c’è stato, in qualche momento della storia, un grande potere la cui affermazione è stata esente dallo sfruttamento violento di altri corpi umani. Se c’è stato, io non l’ho ancora trovato». Parte saggio storico, parte autobiografia che espone la durissime tappe della vita di un nero americano dal momento in cui, bambino, capisce che nel suo Paese il corpo di alcuni non è garantito, la sua integrità frutto di un complesso algoritmo, in cui il popolo nero non può sbagliare un passaggio. Chi sbaglia, muore. Per il popolo nero, l’America non è un posto sicuro, questo è il brutale messaggio di Coates, una verità che tutti dobbiamo riconoscere, l’onestà di chiamare le ingiustizie per nome, la forza e la durezza di un discorso di Malcolm X, dove i pensieri e le parole mettono a disagio anche il più illuminato dei bianchi, senza parole di consolazione, di speranza o di incoraggiamento.

La verità è che la polizia rispecchia l’America, in tutti i suoi desideri e le sue paure, e qualunque cosa decidessimo di fare riguardo alla politica in materia di giustizia criminale di questo Paese, non si potrebbe mai dire che è stata imposta da una minoranza repressiva. Gli abusi derivati da queste politiche, la situazione carceraria fuori controllo, la detenzione indiscriminata dei neri, la tortura dei sospettati sono il risultato di una volontà democratica.

13) Life – Keith Richards.
Keith Richards, con Mick Jagger e i Rolling Stones, ha ridefinito il rock’n’roll, e quindi, di riverbero, il modo di vivere rockenrollo, da lui in avanti sempre in bilico tra delirio e catastrofe, apoteosi di gloria e discesa negli abissi di carcere, suicidio, morte per overdose e ogni altro tipo di eccesso. Life è la sua storia come lui ce la vuole raccontare, e ne emerge prima di tutto, prima della droga, degli eccessi, del sesso, e di tutto il baraccone di lingue e lustrini e scazzi, la solita, umana storia che c’è alla base di tutti i grandi musicisti: l’amore puro, incondizionato, genuino, fanciullesco per la musica. Poi ovviamente c’è tutto il resto, i riff di chitarra e la mamma Doris che lo ha introdotto alla musica, le frecciate agli altri due maschi alfa del gruppo (“Non sono Bill Wyman o Mick Jagger, che prendo nota di quante me ne sono fatte!”), l’eterno affetto/odio/amore/santa sopportazione per la diva Jagger (si è preso la SCS, Sindrome da Cantante Solista), l’essere stato per molto tempo un padre meno che encomiabile, gli arresti per droga e la tossicodipendenza, le donne, le mogli, le amanti. Ma soprattutto, ci sono infiniti momenti di studio, di pratica, di prove con la chitarra, a volte lui stesso stupito di cosa riuscivano a combinare, a volte nostalgicamente ricordando l’imitazione con Brian Jones dei grandi idoli del blues come John Lee Hooker, Slim Harpo e Muddy Waters per coglierne gli accordi, sempre generosamente pronto a suonare, la sua musica vera e unica ragione di vita, per resistere, tirare avanti, non voltarsi indietro.
In una delle recensioni che ricordo del tempo in cui era uscito Life, c’era scritto che alla fine questo è un libro che, se possibile, ti rende Keith Richards ancora più simpatico di quanto già non fosse così, all’apparenza. Ed è proprio così. Life è un libro onesto, per tutti, non per soli appassionati, forse superficiale in certe descrizioni di personaggi, forse con troppi clichè, forse il lato caratteriale e umano di tutti è un po’ nascosto da quell’enorme lingua rossa irriverente; ma una storia raccontata sinceramente da un vecchio ragazzo terribile, che se la canta e se la suona certo, ma soprattutto, mentre ti parla, se la ride.
Io non ho un problema di droga. Ho un problema di polizia. 
14) Lincoln nel Bardo – George Saunders
Libro spettacolare, che richiede un poco di pazienza all’inizio, un desiderio di andare incontro all’inusuale in letteratura: il prodotto finale, stilisticamente, è un viaggio straniante oltre i propri limiti di lettore e di pregiudizi letterari, ed è incredibilmente bello.
Il Presidente Lincoln, la notte che segue il giorno più terribile di tutti, quello del funerale del figlioletto undicenne Willie, si reca al sepolcro, e veglia. Willie, morto da poche ore, non è solo: il cimitero in cui giace è popolato da una numerosa serie di figure che rifiutano il proprio stato di morti, e si aggrappano a qualunque ricordo, fatto o sentimento che possa loro rammentare la bellezza della vita ormai perduta. Lincoln nel Bardo racchiude in un romanzo tutte queste storie insieme, un racconto corale e intimista, straziante e poetico, ironico e immaginifico; ha personaggi fortemente umani nonostante la loro ovvia condizione di defunti, persi nel rimpianto e nella nostalgia con una rabbia che rompe gli argini oltre il confine tra la vita e la morte, dove la vera fine consiste nella certezza di aver perso delle occasioni. Una scrittura profonda, umanissima, una meditazione compassionevole sull’esperienza di vivere in tutti gli elementi comuni a noi tutti, l’amore, la morte, la perdita, il rimpianto, il rimorso, e tutto quello che c’è in mezzo.
Libro dell’anno, per me.
Sebbene all’apparenza sembrasse che ogni persona fosse diversa, non era vero. Al cuore di ognuno c’era la sofferenza; la nostra inevitabile fine, le tante perdite che dovevamo subire nel cammino verso la fine. Dovevamo provare a vederci in questo modo gli uni con gli altri. Come esseri sofferenti, limitati.”
15) Sostiene Pereira – Antonio Tabucchi
Pereira è un giornalista che lavora alla pagina culturale di una rivista a Lisbona nel 1938, un uomo prossimo alla vecchiaia, cardiopatico, pingue e privo di ambizioni.
Ha l’abitudine di parlare col ritratto della moglie defunta, riportando al quadro, muto interlocutore, fatti quotidiani e qualche riflessione. Il Portogallo è sotto la dittatura di Salazar, e i fascismi dilagano in Europa; ma Pereira non ha più ambizioni politiche, e si disinteressa all’attualità. L’incontro con una coppia di giovani sovversivi spagnoli, rifugiatisi in clandestinità in Portogallo, fa uscire a poco a poco Pereira dall’apatia, la sua inerzia lascia spazio a nuova consapevolezza. Il senso di schierarsi contro i soprusi governativi che emerge non da un innato senso di giustizia, ma nel momento in cui persone che il protagonista conosce e ammira, a cui pensava nostalgicamente proiettando su di loro sogni giovanili e desideri quasi dimenticati di paternità, vengono oppressi e torturati. “Il mondo è un problema e certo non saremo noi a risolverlo.” E’ vero; ma in ogni vita, anche se sembra spenta e ormai inutile, c’è posto per un ultimo sprazzo di dignità, anche se è solo il desiderio di essere un uomo decente, che non è mai poco.
 Non si sentì rassicurato, sentì invece una grande nostalgia, di cosa non saprebbe dirlo, ma era una grande nostalgia di una vita passata e di una vita futura, sostiene Pereira.
Lorenza Inquisition