Ruggine americana – Philipp Meyer #RuggineAmericana

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Io amo questo tipo di libri tanto quanto tendo a scordarmene facilmente.
Se mi chiedeste di cosa parlano Espiazione o La strada (solo a metà film gridai sottovoce: ma cazzo, io l’ho letto questo libro!) – romanzi da me amatissimi – risponderei solo vagamente, e questo ha a che fare più con la mia mente a buchi che con la narrativa americana contemporanea.

Con molto entusiasmo, dunque, mi sono dedicata a questa lettura, spinta anche dalla recensione di Raffaella Giatti sul blog, che non ne era superfan, ma che mi ha comunque incuriosito.

Cosa ne penso infine? Che è un libro bellissimo e ben costruito, con personaggi memorabili e infinitamente vinti, dolenti e consapevoli della loro sconfitta. Che ogni possibilità di riscatto prescritto alla nascita a ogni cittadino dal Sogno Americano si sgretola come ruggine dalla necessità del profitto. La Costituzione e il suo diritto alla ricerca della felicità lasciano il passo alla ricerca di un posto dove dormire senza venire ammazzati nel sonno.

Bello. Spero di ricordarmelo tra un po’.
L’unica delusione è stata il finale, davvero tirato via dopo tante premesse. Da tanti fili rimasti sospesi, forse qualcuno costruirà su una fanfiction, soprattutto sull’inutile Lee – ma forse no.

Comunque, consigliato a chi ama la provincia americana e i suoi eroi splendenti nel buio.

Daniela Q.

DESCRIZIONE

Cosa succede quando il sogno di una nazione arrugginisce accanto agli scheletri delle acciaierie dismesse e alle rovine delle industrie abbandonate? Succede che la sua fine si ripete ogni giorno, nei sogni infranti dei suoi abitanti. Come quelli di Isaac English: vent’anni, timido, insicuro, ha il cervello di un genio, ma il college rimane un miraggio da quando sua madre si è suicidata e lui ha tentato di imitarla. Sarebbe morto se non l’avesse salvato Billy Poe, del quale si può dire tutto tranne che sia sveglio. È grande e grosso, ma, se c’è da menare le mani, sa farsi valere. E quando Isaac decide di scappare in California, si ritrova proprio Billy come compagno di viaggio. È l’inizio di un’imprevedibile catena di eventi che segneranno per sempre le vite dei due ragazzi e di un’intera comunità.

Chimamanda Ngozi Adichie – Americanah #Americanah

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Ma che bello questo libro, ricco, intenso, divertente. La scrittura è magnifica. Chimamanda Ngozi Adichie (sì, lo so) è la golden girl della letteratura nigeriana moderna, scrive in inglese su temi attuali riuscendo ad attrarre nuovo pubblico occidentale verso la produzione letteraria africana (tutte le sue opere sono tradotte anche in italiano, comunque). Americanah è un romanzo contemporaneo, ambientato per metà in America e in Inghilterra.

E’ la storia di una giovane donna nigeriana, Imefelu, che nel 2000, durante il primo anno di Università a Lagos è costretta a mesi di inattività perchè il governo -militare- non paga da mesi i dipendenti governativi, e quindi anche gli insegnanti che, inaspriti, scioperano. Imefelu perde un anno di iscrizione universitaria perchè non ci sono lezioni, ed esasperata, come centinaia di giovani suoi pari, fa domanda per continuare gli studi all’estero, ottenendo una piccola borsa di studio per l’America, dove poi rimarrà per i 15 anni successivi. Il romanzo va a ritroso, inizia quando Imefelu sta per tornare in Nigeria, ormai trasformata in quello che i locali chiamano Americanah, una persona che ha vissuto all’estero così tanto che non sa più essere Nigeriana.

Ci sono tre diversi livelli di storie in questo romanzo: innanzitutto, c’è la Nigeria. Le strade caotiche e i vestiti colorati, il platano fritto e lo stufato di arachidi, le signore bene che si fanno fotografare nelle loro case su divani di pelle vicino a busti dorati con alle spalle gli scatoloni di riso e zucchero che andranno a donare alle Missioni cattoliche. Ci sono la corruzione e i nuovi ricchi, che spendono per ostentare il loro status: bambinaie straniere e maggiordomi, camerieri e portieri in divisa, scuole francesi o inglesi per i bambini.

Poi c’è l’America. Non gli Stati Uniti di chi atterra con parenti ricchi e borse di studio prestigiose, ma quelli di chi arriva da povero, e da povero comincia, con lavori in nero e persone che umiliano. E’ vero che l’America è il Paese delle opportunità, ma sono opportunità che spesso non si presentano per anni, e a volte anche lì si ricorre alla scorciatoia: tanto vale sfruttare la conoscenza, il ragazzo ricco, la propria bellezza.

Il terzo tema, il più profondo e il principale motivo che ricorre lungo tutto il romanzo, è il razzismo. La protagonista è una persona che non si è mai sentita “nera” se non nel momento in cui entra negli Stati Uniti. Nero nel suo Paese di origine è un dato di fatto, uno stato fisico, non un insulto. Imefelu si trasferisce in un Paese in cui il problema della razza è una questione scottante e irrisolta, e soprattutto, paradossalmente, negata. Non dai conservatori o dai bianchi poveri, ignoranti, violenti e fanaticamente razzisti: sono proprio gli americani progressisti i veri negazionisti. Come dice Imelefelu: “Vi sono infiniti libri sulla schiavitù o sulla separazione razziale negli anni ’50 che permettono a qualsiasi progressista di dire Beh sì è vero c’è ancora qualche problema da noi, ma guarda quanta strada abbiamo fatto da allora! Ma la questione razziale è una bastardata che non avrebbe mai dovuto neanche nascere, e non devi stare a darti delle pacche sulle spalle perchè dagli anni 60 ci sono stati progressi. Non devi pensare a quanto siete stati fighi da allora, devi pensare di fare meglio anche adesso, ancora di più”.

Questo è un libro che contiene un sacco di cose, immigrazione ed emigrazione, razzismo e relazioni interraziali, quello che si è disposti a fare per integrarsi in un gruppo e cosa significhi lasciare casa, famiglia e patria. E’ anche, di base, la storia di quello che succede quando si sogna di avere una vita migliore, e si fa di tutto per realizzare questo sogno, solo per arrivare a capire con l’età che la vita “migliore” non è quello per cui si è lottato tutto il tempo.

Ci sono due o tre difetti che non definirei minori, è molto lungo, e le tirate sul razzismo, sulla politica e sull’ideologia razziale sono, soprattutto verso la fine, troppe. Ma scrive così bene che onestamente a me non è pesato molto, anche se capisco che non per tutti possa essere così.

Credo che il difetto principale siano comunque i drastici cambi di direzione che ogni tanto il romanzo prende: parte come narrativa pura, vira verso il diario semiautobiografico con l’autrice che fa capolino con le proprie esperienze di emigrata e di donna di colore in una società ancora fortemente discriminante a livello razziale, riprende il tema fiction per diventare un po’ saggio quando la protagonista apre un blog e vengono buttati in mezzo alla narrazione i vari articoli, e finisce come romanzo d’amore (comunque a me è piaciuto, sono una romanticona, si sa). Insomma, un po’ lungo, un po’ incasinato, un po’ pesante a volte. Va beh, non ho mica detto che è perfetto, ho detto che è un bellissimo libro!

4 stelle su 5, e baci diffusi.

Lorenza Inquisition