Quando siete felici, fateci caso – Kurt Vonnegut #recensione #KurtVonnegut

Quello che è probabilmente il più grande amico che i lavoratori di questo paese abbiano mai avuto, Eugene Debs, disse: Finchè ci sarà una classe inferiore, io ne farò parte; finchè ci saranno dei fuorilegge, io sarò uno di loro; finchè ci sarà un essere umano in carcere, io non sarò libero.”

Un tempo era ammirevole che un americano parlasse così.

Qualche persona colta fra i presenti sa dirmi cos’è andato storto?

quando-siete-felici-fateci-caso

Ci sono scrittori che devono essere letti: da giovani, da vecchi, non importa molto, veramente. Ma vanno letti. Questo libro è una raccolta di discorsi tenuti da Vonnegut in varie Università americane, al cospetto dei laureandi, fra il 1978 e il 2004. In America è usanza tenere al termine dell’anno accademico il “commencement speech”, e si invita a farlo una personalità di spicco del mondo della cultura o della politica, ricordiamo per esempio i discorsi agli studenti di scrittori come David Foster Wallace (Questa è l’acqua) e George Saunders (L’egoismo è inutile).

Lo stile di questi discorsi è brioso, ironico, leggero: evidentemente Vonnegut sentiva che per rivolgersi a un gruppo di studenti che non vedevano l’ora di buttare per aria il tocco e andare a festeggiare coi parenti, non c’era di meglio che parlare poco e con simpatia. Per me in queste pagine ci è riuscito sempre, è ovvio che c’è qualche ripetizione nella sostanza dei discorsi, perchè negli anni i concetti andava reiterandoli, mai però ci sono frasi banali o vuote. Parla col cuore in mano, Vonnegut, e abbatte ogni barriera generazionale, anche quella abissale che intercorre tra un uomo di settant’anni che ha combattuto la seconda guerra mondiale e i giovani figli di papà appena adulti negli anni del massimo benessere capitalistico. Io trovo che sia uno scrittore grandissimo, che riesce a parlarmi senza elevare particolarmente lo stile, o trascendere in poetiche incomprensibili di filosofia e spiritualità: e credo che piaccia tanto ai giovani, attraverso gli anni, perchè Vonnegut ci dice, semplicemente, che la vita umana, tutto sommato, fa un po’ schifo. E che se è tutta qui, va bene così, e la dobbiamo accettare. E nel frattempo ci parla un po’ di tutto: dal ruolo degli insegnanti all’amore per la parola e per i libri, dall’importanza della famiglia alla bellezza delle piccole cose, dalla stupidità dei pregiudizi al coraggio di piccoli, uomini comuni che conquistano la storia con il solo coraggio delle idee. Ci parla della vita e della morte, abbattendo ogni barriera sociale e culturale, senza temere di esprimersi liberamente. Ci accumuna tutti in questa sciocca, insensata corsa a perdifiato che chiamiamo vita, e ci chiede di imparare ad apprezzare le piccole cose, i brevi momenti “perfetti” che ci conforteranno durante i periodi più difficili. Ci racconta la propria vita straordinaria in alcuni aneddoti, e ci incanta con storie legate ad altri grandi scrittori che ha incontrato, ma anche alla gente comune.

Sono discorsi vecchi anche di quasi quarant’anni, eppure io li trovo molto attuali; in particolare l’esortazione a rendersi conto di quando si è felici (perchè comunque poi della felicità non se ne ha mai abbastanza, e va alimentata costantemente, quindi approfittate!), l’importanza di avere la stima dei propri vicini/della propria comunità (e quindi di avere anche una comunità, e dedicarcisi), e la grandiosità del ruolo di insegnanti e dell’esistenza dei libri nella vita umana.

Io l’ho amato proprio, questo libro. Consigliatissimo issimo.

Lorenza Inquisition

 «Quanti di voi hanno avuto un insegnante, in qualunque grado di istruzione, che vi ha resi più entusiasti di essere al mondo, più fieri di essere al mondo, di quanto credevate possibile fino a quel momento?
Alzate le mani, per favore.
Adesso riabbassatele e dite il nome di quell’insegnante a un vostro vicino, e spiegategli che cosa ha fatto per voi.
Ci siamo?
Cosa c’è di più bello di questo?»

kurt-2

 

Absolutely Nothing – Giorgio Vasta/Ramak Fazel #recensione @nellogiovane69

 Quodlibet edizioni 

Absolutely Nothing
Storie e sparizioni nei deserti americani
absolutely-nothing-copertina-foto

Un viaggio di scoperta (realmente avvenuto) attraverso gli USA che tradisce la propria natura e frutta una sorta di reportage tradito, romanzo vero e proprio, di spazi prima che di strada, di memoria e dissolvenza. Di sparizione. Una poetica di “incidenti programmati” grazie al fotografo Ramak, vera e propria variabile impazzita, fautore dell’andare patafisico, degli incidenti di percorso organici al percorrere. Una contro-strategia che – opposta al planning di Silva con l’onnipresente cordone ombelicale dell’iPad – schiude i ventri cavi dell’America abbandonata, esausta, obsoleta, deserta. La prosa di Giorgio Vasta è densa e dinamica, gestisce profondità e superficie con agilità impressionante, rimesta nel torbido dell’immaginario collettivo (l’impronta dell’immaginario USA nel mondo in generale e negli italiani in particolare) per metterci di fronte all’attendibile inganno di uno sconfinato meccanismo di finzione opposto ad una altrettanto vasta (!), archetipa, incontenibile mancanza. Bel libro, anche come oggetto, pure se le foto di Ramak avrebbero meritato un formato maggiore.

Stefano Solventi

DESCRIZIONE

Cosa resta di un viaggio nei deserti americani? La luce accecante, la polvere, le ghost town e altre reliquie dell’abbandono – un ippodromo-astronave, le rive di un lago fossile, un cimitero di aeroplani. Restano pagine fitte di appunti raccolti in ottomila chilometri costellati di imprevisti e digressioni attraverso California, Arizona, Nevada, New Mexico, Texas e Louisiana. A percorrerli, con Giorgio Vasta, ci sono il fotografo Ramak – camicia hawaiana, sorriso cordiale, e una spiccata attitudine a complicarsi la vita – e Silva, pianificatrice e baricentro razionale del viaggio. Doveva essere un reportage, una guida letteraria; ma quando ciò che accade nel deserto – per eccellenza luogo di miraggi e sparizioni – si rivela il preludio di quello che succederà nella vita dello scrittore al suo ritorno, l’asse del libro si modifica: le persone diventano personaggi, e per Vasta il viaggio negli spazi americani diventa un viaggio nella propria immaginazione. A fare da contrappunto, le fotografie di Ramak Fazel, che del racconto sono espansione, verifica e, allo stesso tempo, smentita. Ritratto dell’America, ragionamento sul suo mito e omaggio alle sue narrazioni, Absolutely Nothing traccia un itinerario che collega scrittura documentaristica e fiction, riflessione e autobiografia, per provare a comprendere cosa accade ai luoghi – e alle nostre esistenze – quando le persone che li hanno abitati (che ci hanno abitati) se ne vanno via.