Electric Kool-Aid Acid Test – Tom Wolfe #TomWolfe #NewJournalism #Mondadori

“Perciò i Pranksters guardano tutti Kesey. Ha la testa abbassata e dice in tono malinconico: “Noi non siamo nel viaggio di Cristo. Quello è stato fatto, e non funziona. Tu riveli il tuo scopo, e poi hai duemila anni di guerra. Sappiamo dove porta quel viaggio.” 

tom wolfe acid test
 

Il Kool-Aid è una polverina gastronomica, disponibile in decine di diversi colori e sapori, che si mischia all’acqua per ottenere una bevanda fruttata molto gradita ai bimbi e teen-agers americani. Il gruppo di hippie le cui gesta si narrano in questo libro usava sciogliere l’LSD nelle caraffe di succhi al Kool-Aid per un trip di meditazione trascendentale collettivo e immediato.

Tom Wolfe nel 1968 era un giornalista tutto sommato ancora imberbe, che comunque scriveva già articoli per il Washington Post e il New York Herald Tribune, che si era messo in testa di sfornare un reportage su Ken Kesey, un romanziere apprezzato nel giro beat di New York, dove viveva Wolfe. Kesey era noto letterariamente per lavori come Sfida senza pauraQualcuno volò sul nido del cuculo, e socialmente perchè era un guru alla Manson (per fortuna benigno), che aveva fondato una comune hippie e che si era dato alla macchia da qualche tempo, si diceva in Messico: appena trentenne si era già messo in un mare di guai per la droga. Il fuggitivo in realtà fu arrestato poco dopo a San Francisco, e Tom Wolfe si recò quindi sulla West Coast per intervistarlo per un soggiorno di diversi mesi, e da questa esperienza nasce il libro Electric Kool-Aid Acid Test, dove Wolfe non solo cercò di raccontare cosa facevano Kesey e i suoi Pranksters, ma anche e soprattutto di ricreare la relativa atmosfera mentale o realtà soggettiva dei fatti che riferiva.

La controcultura che negli anni Sessanta dalla Beat Generation traslava in modo colorato e pacifico verso il movimento Hippie, favorì l’uso di sostanze allucinogene come l’LSD – non subito illegale, anzi inizialmente sperimentato in test di ricerca di varie facoltà di psicologia-  e la consuetudine di riunirsi in comunità per condividere valori, esperienze, sesso, droga, arte. Una delle prime e più famose in America fu proprio la comune che aveva come guida spirituale Ken Kesey: intorno a questo scrittore si riunì a poco a poco un numero considerevole di giovani sbandati e personaggi che in quel movimento avevano )o avrebbero) lasciato impronte leggendarie, da quel Neal Cassady, l’eroe Dean Moriarty di On the road di Kerouac, a Jerry Garcia e i suoi Grateful Dead, passando per Allen Ginsberg a Kerouac stesso.

La comune di Kesey, nota con il nome di “Merry Pranksters” (Felici Burloni) attraversò gli anni fra il 1962 e il 1966 abbandonandosi ad eccessi, usando gli stupefacenti per assumere consapevolezza delle proprie facoltà mentali, e scegliendo una mite e poco dogmatica ideologia che favoriva la pace, la fratellanza e la libertà personale per opporsi all’ortodossia politica e sociale. Utilizzavano arti alternative, il teatro di strada, la musica popolare ma anche le sonorità psichedeliche come parte del loro stile di vita e come modo di esprimere i propri sentimenti, le loro proteste e la loro visione del mondo e della vita. A bordo di un pulmino scolastico attrezzato all’interno con letti a castello, alcove, tendine di perline, frigo bar (per il Kool-Aid all’acido), tappeti di juta e strumenti musicali di ogni tipo, completamente ridipinto in colori sgargianti e con l’insegna “FURTHUR” (storpiatura di further, che significa più avanti, ma ammiccante anche a future, futuro) a indicare la via, abbigliati con indumenti fluorescenti, equipaggiati con decine di registratori, microfoni e cineprese per registrare tutto ciò che succedeva a loro ma anche intorno a loro, un neo-reality live on the road sul lato dei neuroni brusciati, i Merry Pranksters scorazzarono lungo un’America che si stava ancora svegliando al movimento della controcultura, che non aveva ancora iniziato seriamente le battaglie sui diritti civili e che guardava con un misto di curiosità e di timore questo gruppo di eccentrici, selvaggi, sudici, innocui fattoni. Infollementecredibili.

Un gran bagliore al centro dell’autorimessa. Vedo uno scuolabus che brilla: «arancione, verde, magenta, lavanda, blu, cloro, ogni color pastello fluorescente immaginabile in migliaia di motivi decorativi, sia grandi che piccoli, come un incrocio tra Fernand Léger e Doctor Strange che strepitano insieme e vibrano l’uno per l’altro come se qualcuno avesse dato a Hieronymus Bosch cinquanta secchi di vernice Day-Glo e uno scuolabus International Harvest del 1939 e gli avesse detto di mettersi all’opera».

Tom Wolfe ripercorre con questo libro tutta la parabola dei Merry Pranksters: dalla nascita del gruppo a seguito delle prime sperimentazioni allucinogene di Kesey, all’ingresso dei vari componenti storici, dalle traversie subite da Kesey stesso ai famosi “acid test” in cui centinaia di persone provavano insieme l’assunzione di acidi sciolti nei famosi succhi Kool-Aid, alla sperimentazione musicale di quelli che poi divennero i Grateful Dead, da un concerto dei Beatles all’avvicinamento al gruppo di motociclisti ribelli Hell’s Angels, fino alla graduale dispersione dei componenti dopo che il loro guru fu condannato a una pena detentiva di qualche anno.

Al di là dei contenuti, questo libro è poi importante per la storia del giornalismo. E’ un dettagliato report ma in forma quasi romanzata, in cui Wolfe perfezionò il rivoluzionario (per i tempi) metodo del New Journalism di cui divenne esponente importantissimo, insieme a Truman Capote, Hunter Thompson, Norman Mailer; si rese conto cioè di dover descrivere questa storia non in modo convenzionale, bensì di dover adattare la propria scrittura al testo innovativo della storia che stava raccontando, una metodologia che stravolgesse il canone principale assunto, per certo, proprio dell’inchiesta giornalistica: l’oggettività. Creò quindi una particolare commistione di generi, una fusione fra letteratura e giornalismo, e inventò un nuovo linguaggio ricalcando in qualche maniera il modo di raccontarsi dei suoi personaggi, con trovate postmoderne: si leggono pagine di versi, altre tempestate di puntini o parole dilatate, punti esclamativi, periodi di maiuscole e corsivi ossessivi. E poi tanti riferimenti letterari, Straniero in terra straniera di Robert A. Heinlein, il mistico Le guide del tramonto di Arthur C. Clarke, Herman Hesse con il Pellegrinaggio in Oriente e Hunter Thompson con il suo libro sugli Hell’s Angels, Ginsberg e Corso e Kerouac; e momenti musicali, i  Beatles e Bob Dylan e i Grateful Dead, un grande raduno pacifista a Berkeley, la New Left, il movimento studentesco, le folli corse nei quartieri della suburbia benpensante.

“La conversazione semplicemente fluisce. Tutti fanno notare i più piccoli episodi come se fossero metafore della vita stessa. L’esistenza di ciascuno diviene, a ogni attimo, più favolosa del libro più favoloso. E’ ipocrita, dannazione… ma mistico… e dopo un po’ comincia a contagiarti, come un prurito.”

Il racconto, onestamente, a volte collassa verso l’incomprensibile, altre si eleva e decolla trascinando con sé chi legge a fianco di questi pionieri di una vita alternativa alla ricerca di un’utopia tutto sommato innocua, di pace, fratellanza, comunione con la natura. Credo onestamente sia troppo lungo, almeno di un centinaio di pagine; e nonostante l’ottima traduzione attuale (uscì nel ’68 per Feltrinelli con il titolo L’Acid Test al Rinfresko Elettriko, ripubblicato e ri-tradotto nel 2013), è una scrittura interessante ma a tratti così acida da diventare impossibile da seguire nei meandri dei suoi deliri. Però, sorvolando sullo strafattume, l’ho trovato molto profondo e interessante.

Questa cronaca di Wolfe è ormai diventata storia, e pure remota. Tutto passa, si sa, in fondo anche Tom Wolfe, che da anni ormai tende alla letteratura classica e allo stile conservatore. Rimangono i ricordi, e questo libro, testimonianza vera di un periodo quasi dimenticato nel quale i valori del comunitarismo e la sperimentazione di stili di vita che rifiutavano i paradigmi della società capitalista ebbero davvero per qualche breve attimo una utopistica, splendida possibilità di riuscita.

Consigliato per chi è interessato alla storia sociale americana, alla musica psichedelica, ai movimenti studenteschi degli anni Sessanta e alla sperimentazione di linguaggio letterario: per tutti gli altri, potrebbe essere urticante ai massimi livelli.

Ciononfollementeostante.

Lorenza Inquisition

Traduttore: S. Mazzurana
Editore: Mondadori
Collana: Oscar contemporanea
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Io sono Charlotte Simmons – Tom Wolfe #tomwolfe

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“Loneliness wasn’t just a state of mind, was it? It was tactile. She could feel it. It was a sixth sense, not in some fanciful play of words, but physically. It hurt… it hurt like phagocytes devouring the white matter of her brain. It was merely that she had no friends. And she didn’t even have a sanctuary in which she could simply be alone.”

Arrivo con un libro di Tom Wolfe del 2004 che avevo lì da aaaanni, e che mi è tutto sommato piaciuto. L’autore non è particolarmente prolifico, anche se poi scrive dei tomoni di un certo peso specifico, parlando di romanzi. Questo all’epoca fece un certo scalpore per il modo in cui descrive – e critica ferocemente- l’ambiente universitario americano d’elite, le Ivy League e i loro studenti. Se si è frequentata l’università in Italia, si può leggere con distacco, e prendere il tutto con un certo beneficio d’inventario, ma molti americani trovarono offensivo che si dica a chiare lettere che l’ordine sociale nei grandi atenei è determinato in maniera rigida: the old money, i ricchi, gli atleti e gli altri, che sono fuori da tutto.

Ma non solo: quello che il romanzo dichiara senza mezzi termini è che negli ambienti bene delle grandi università americane, dove si forgiano i futuri leader di aziende, partiti e governi, dove vanno a studiare i figli dei migliori studiosi, dei più ricchi, dei potenti, gli unici valori rispettati sono la ricchezza materiale, lo status sociale, il proprio tornaconto. Essere liberi pensatori, studiare per arricchire il proprio bagaglio di cultura, crescere come persone non interessa, le Università sono solo dei mezzi, dei trampolini di lancio: questo, nel mondo accademico intellettualoide, del quale Tom Wolfe è un esponente riconosciuto, creò indignazione, articoli avversi, una certa bufera mediatica.

La storia si concentra sulla protagonista, la Charlotte che dà il nome al romanzo, una ragazza di origini modeste che grazie alla propria brillante intelligenza e al duro studio al liceo ottiene una borsa di studio per una prestigiosa Università, la Dupont (nella realtà non esiste, è stata creata apposta per il romanzo da Wolfe sulla falsariga di Yale e Princeton). Charlotte arriva al college con un bagaglio di ingenuità e sogni che tutti i giovani idealisti iscritti a una facoltà letteraria o artistica si portano dietro all’inizio: questo vedere il mondo accademico come l’Olimpo dove risiedono gli Dei del Sapere e della Conoscenza, che discettano ogni momento di importanti questioni filosofiche e letterarie e vivono nell’aria rarefatta delle vette che solo le grandi menti umane raggiungono.

Molte cose si possono dire di Wolfe, ma una su cui siamo direi tutti d’accordo è che sa scrivere, e bene: e quindi te la vedi la giovane Charlotte coi i suoi vestiti fuori moda e la sua verginità che parte con tutte le sue matite ben temperate e i quaderni nuovi e i libri intonsi, che sogna serate in biblioteca e quintali di appunti in Letteratura Inglese 1. La vedi il primo pomeriggio all’incontro con le matricole mentre la Responsabile del dormitorio enuncia le ferree regole della Casa e dell’Università: non si beve, non si fa sesso random, non si partecipa a festini, non ci si droga, la vedi mentre annuisce con vigore e serra le labbra convinta, si è qua per studiare, mica per divertirsi.

Quella sera stessa, rientrando, Charlotte sorprende la medesima Responsabile fare sesso sul divano, ed è solo il primo di una serie di shock che le si prospettano: tutti i ragazzi e le ragazze sono solo lì per divertirsi, per spaccarsi abbestia, per bere e fare sesso come se non ci fosse un domani. Ci sono i figli dei CEO di mezzo Paese che fanno nottata un festino dopo l’altro (ma non erano vietati?) in cui circolano liberamente droga e alcool. Ci sono le ragazze delle Confraternite più esclusive che vogliono solo scopare il maggior numero di ragazzi cool dell’ateneo, quasi fosse una gara di freccette in cui tenere i  punti. Ci sono gli atleti, i veri Dei dell’Università: solo loro che portano soldi e sponsorizzazioni, e a loro tutto è concesso, persino non studiare niente e avere un gruppo di studenti poveri che fa i compiti al loro posto.

Charlotte è apparentemente una dura, una tosta, e passa i primi mesi a cercare di studiare senza curarsi di nessuno, fallendo miseramente nel tempo. All’inizio penso piaccia a quasi tutti i lettori, questa ragazza intelligente e innocente, con una serie di valori morali che l’hanno guidata fin lì, con i suoi ideali e i suoi grandi sogni, che contrasta brutalmente con un mondo giovanile superficiale, classista, brutale, dove l’alcool scorre a fiumi, il tempo che ci vuole a una festa per portare una ragazza a letto sono sette minuti, i riti tribali sono crudeli e il sesso e lo sport sono gli unici valori riconosciuti e per i quali si viene rispettati.

A poco a poco, Charlotte non piace più tanto, perchè comincia a cambiare: è una ragazza povera di diciassette anni che improvvisamente non basta più a sè stessa come era stato al Liceo, e che comincia a mettere in discussione i propri valori e le priorità della vita. Perchè le pesano crudelmente il non avere amiche e un ragazzo, il non essere socialmente accettata, l’essere quella “strana” a cui si ride dietro, e che ha come unico amico un nerd sfigato che studia giornalismo.

“Alla Alleghany High aveva affrontato ostilità ed emarginazione, ed era stata palesemente fuori dai giri giusti, era rimasta fedele a se stessa, non si era lasciata condizionare (…) e aveva proseguito per la sua strada, fino ad approdare in una delle migliori università del mondo. Quindi, neanche adesso si sarebbe lasciata condizionare. Niente l’avrebbe fermata… niente. Se doveva cavarsela da sola, se la sarebbe cavata da sola. Però… si sentiva sola come un cane”.

Vi sono anche tre comprimari, tre personaggi le cui vicende si intrecciano con quelle di Charlotte. Uno è il nerd Adam, un intellettuale disadattato che ha aspirazioni lerrario giornalistiche e si mantiene facendo il tutor per gli atleti poco portati per lo studio. Jojo, uno degli atleti, che trova un po’ stretto il rientrare perfettamente nello stereotipo atleta=mezzo cervello e tanti muscoli. E infine Hoyt, un ricco figlio di papà che vuole fare la bella vita ed è pure coinvolto in un mezzo ricatto per un episodio avvenuto fuori dall’Università che vede protagonista un senatore e una inopportuna fellatio, affair che insieme a vari altri accadimenti trova modo di fare da sottotrama alle vite dei quattro giovani dentro e fuori dall’ateneo.

E’ un libro lungo, con uno stile che può risultare noioso a tratti (è un po’ provante un ossessivo ralenti usato per descrivere le azioni sportive, e ci sono dei dialoghi francamente insensati). Comunque io personalmente non l’ho trovato nè difficile nè brutto, a volte solo un po’ lento, ma i personaggi sono vividi e il linguaggio espressivo.

La figura di Charlotte, molto gradevole all’inizio tanto che davvero mi ci identificavo ricordando i miei diciott’anni e l’iscrizione a Lettere, subisce un’evoluzione poco gradevole, anche se in fondo non sorprendente, e giustificata. Senza voler spoilerare perchè non so quanti l’abbiano letto, diciamo che Charlotte dopo il primo semestre di sofferenza e alienazione, capisce che, per dirla alla Hollywood, è meglio essere “in” che “out”, e se questo vuol dire perdere la propria identità, ebbè, insomma, succede.

Lorenza Inquisition