Tom Wolfe, The bonfire of the vanities

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Sherman McCoy è un bond trader di successo, un principe di Wall Street, con un appartamento da Architectural Digest in Park Avenue e la convinzione di essere “Master of the Universe”. Ma sin dall’inizio si rivela un perfetto idiota che fatica a convincere il cane ad uscire, quando gli serve una scusa per telefonare all’amante, Maria. E proprio in compagnia di Maria, a bordo della sua Mercedes, ammirando Manhattan e contemporaneamente perso nella propria autocelebrazione per essere tra i vincenti che la abitano, sbaglia uscita e si ritrova nel Bronx, dove un banale incidente si rivela fatale per un giovane di colore. Da quel momento Sherman si ritrova protagonista di una vicenda legale che lo porterà nell’abisso, lo farà simbolo della prevaricazione dei bianchi sui neri e scatenerà una battaglia sociale che coinvolge stampa, politica, magistratura.

Wolfe ci presenta un quadro realistico della New York degli anni ’80, con le sue contraddizioni, i suoi eccessi, le sue ambizioni e ipocrisie, con l’intento dichiarato di offrirci un romanzo “della città”, come hanno fatto Balzac e Zola per Parigi e Dickens e Thackeray per Londra.

Arianna Pacini

“Just think of the millions, from all over the globe, who yearned to be on that island, in those towers, in those narrow streets! There it was, the Rome, the Paris, the London of the twentieth century, the city of ambition, the dense magnetic rock, the irresistible destination of all those who insist on being where things are happening – and he was among the victors!”.

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