L’odore dell’India – Pier Paolo Pasolini #Pasolini

“Eravamo ormai verso la fine del nostro viaggio in India, ed eravamo mezzi dissanguati dalla pena e dalla pietà. Ogni volta che in India si saluta e si lascia qualche persona che è stata con noi per un qualche tempo, si ha l’impressione di lasciare un moribondo che sta per annegare in mezzo ai rottami di un naufragio. Non si può resistere a lungo a questa situazione: oramai tutta la strada dell’India dietro a me era seminata di naufraghi che non mi tendevano neanche la mano”.

L'ODORE DELL'INDIA
L’ODORE DELL’INDIA

Nel 1961, in compagnia di Alberto Moravia e di Elsa Morante, Pasolini si reca in India per una serie di conferenze a commemorazione di Tagore, un soggiorno che durerà sei settimane. Le emozioni e le sensazioni provate sono così intense da spingerlo a scrivere queste pagine, un diario di viaggio uscito dapprima a puntate su Il Giorno (Moravia pubblicherà a sua volta un romanzo su questo viaggio, Un’idea dell’India).

Pasolini approccia l’India da un punto di vista colto, ovviamente, ma anche  emotivo: è la prima volta che vi si reca, anche se ha già visitato altre realtà del terzo mondo, e ne rimane travolto. Non ha paura di immergersi in quella che nelle guide di solito banalmente si chiama la “vera India”: esce la sera, spesso da solo, a camminare, confrontandosi amichevolmente con le mille situazioni umane che incontra, mai sottraendosi al reale putrido e patetico di quel Paese. Si imbatte così in un’improvvisa chiacchierata con dei giovani senza dimora pronti a divorare gli avanzi di cibo gettati dal ristorante del suo albergo, nell’odore di poveri cibi e cadaveri, nei mille colori dei sari, nella solennità coloniale della Porta dell’India, nell’orrore ma anche nel fascino di certe morti sul fiume sacro, nelle centinaia di corpi dei mendicanti sporchi e vestiti di stracci che dormono per le vie della città, nelle brevi intense amicizie con ragazzini di strada che gli lasceranno il segno nel cuore. Poi torna in stanza, e scrive, riflette, approfondisce argomenti: parla di religione, borghesia, politica, cultura.

Sopra a tutto, comunque, Pasolini prova pietà e compassione; l’aspetto che sempre sottolinea è la dolcezza, il sorriso docile e a volte rassegnato dei suoi abitanti, gli occhi ridenti. Si pensa  a Pasolini come a un grande poeta della miseria, qui lo è sicuramente, nel suo approccio al diverso senza pregiudizi, con estrema naturalezza e senza morbosa curiosità. 

Scrittura eccellente, libro più che di viaggio direi di ricordi e sensazioni, con qualche pagina un poco datata: l’India di cinquantacinque anni fa non aveva le immense megalopoli di Mombay, New Dehli e Calcutta, non era una delle realtà economiche più in crescita al mondo, non era la quarta economia del mondo in termini di potere d’acquisto, tutto il futuro che la attende è per Pasolini ignoto. Fa qualche riflessione ma non esattamente centrata, però questo non disturba, per me. Soprattutto questo libro rimane attuale per la sensibilità poetica e sociale con cui riesce a raccontare l’infinita variegata umanità di quel Paese.

Lorenza Inquisition

 

Sharon e mia suocera Diari di guerra da Ramallah- Palestina- Suad Amiry

Leggere il Mondo: Palestina

suad

Per il mio biblioviaggio del planisfero sono approdata in Palestina. Non è una grande opera letteraria, anzi direi che è davvero un libro bruttarello; è scritto proprio terra terra, poche riflessioni e molte frasi scritte di getto, e anche confusionario nell’assemblare i ricordi di varie occupazioni che si ripetono nel tempo. Va preso per quello che è, il diario personale di una signora araba, un architetto che vive nei Territori Occupati e che si è specializzata nello studio e nella preservazione di monumenti ed edifici storici palestinesi (parlatemi di un lavoro triste come questo se ce n’è uno!).

I racconti attraversano varie epoche di occupazioni e successivi ritiri delle truppe israeliane, parlando di come la popolazione sopravviva mese dopo mese dopo anni a una realtà quotidiana di coprifuoco, carri armati davanti a casa, invasione militare in tranquilli sobborghi borghesi di villette e giardini. L’impossibilità di andare a lavorare o a scuola, l’impossibilità di visitare i parenti anziani o malati, le giornate spese in fila per ottenere il rinnovo dei lasciapassare che scadono ogni poche settimane, le ore accodati ai check points per passare da un quartiere all’altro. Quando i territori vengono occupati e le truppe israeliane sono per strada non si può fare altro che stare chiusi in casa giorno dopo giorno, aspettare le perquisizioni e il vandalismo, pregare che l’acqua corrente e l’elettricità non vengano tolte, telefonare ai propri cari se si riesce, e quando ogni due o tre giorni cessa il coprifuoco per un paio d’ore dover scegliere in orribile fretta se correre a visitare la suocera novantunenne per vedere come sta o andare a fare la spesa.

La politica è ovviamente presente, ma in genere limitata nel quotidiano di vite singole: per esempio quando i professori arabi dell’Università  vengono convocati per firmare un documento in cui ripudiano totalmente l’OLP, e se si rifiutano di farlo vengono espulsi per sempre perdendo lavoro e diritto di vivere nel proprio Paese di nascita. O quando una nipote adolescente viene in visita dalla Siria, e la zia la porta in giro per quella parte di città che ha il permesso di girare, passando davanti a edifici ormai di proprietà israeliana, spiegando come una volta appartenessero ai loro nonni, zii o bisnonni, e lasciare che la ragazza immagini la storia famigliare attraverso la visione di una casa da un finestrino.

Ci sono dei momenti di umanità, per esempio quando la signora trova un cagnolino e siccome l’unico veterinario palestinese è un vecchio sciovinista che rifiuta di fare le vaccinazioni alle cagne perchè tanto sono femmine, decide di osare l’impensabile e si reca in una clinica israeliana. Il cane è di razza, e la veterinaria gli redige un passaporto perchè possano portarlo tranquillamente attraverso i vari check points. L’autrice, che non ha diritto a tale lasciapassare, è impossibile per un palestinese avere il free pass, considera seriamente di togliere la foto del cane dai documenti per metterci la propria. Riuscirà comunque a uscirne vittoriosa, perchè ai vari soldati israeliani che la fermano mostrerà d’ora in avanti il passaporto canino spiegando che lei è solo l’autista del Terrier, che ha tutti i diritti a lei negati, generalmente suscitando lampi di sorriso nelle truppe, che è il massimo di interazione umana che si possa avere tra le due fazioni.

Come dicevo, non è un grande libro di impatto emotivo e di riflessione sulla guerra, solo un piccolo trattato sulla rabbia della quotidianità sotto assedio militare. E’ breve e si legge molto velocemente quindi se siete interessati all’argomento non fatevi scoraggiare dal fatto che è scritto -per me- poveramente.

Lorenza Inquisition