Olive Kitteridge – Elizabeth Strout #OliveKitteridge #ElizabethStrout

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Però questa Olive Kitteridge, che caratterino, una donna dura, caparbia, spesso sgradevole, ma sincera, schietta che non può non piacere.
Il libro è composta da 13 racconti, che descrivono episodi di persone che vivono in un paesino del Maine, in cui sempre appare il personaggio di Olive: burbera, attempata, bizzarra, sgraziata, quasi sempre insopportabile.
Spesso i personaggi sono grigi, sommessi, modesti, i racconti non sono collegati fra loro, però alla fine tutto torna a completare il quadro.
La Strout scrive bene, in modo molto lineare, ho avvertito però nella sua scrittura qualcosa di ruffiano, come se volesse piacere a tutti i costi. Il filo conduttore è un diffuso dolore per i deludenti rapporti umani o famigliari, per il tradimento consumato o desiderato, per l’avanzare dell’età e per la paura della morte.
Questo libro nel 2009 ha vinto il Pulitzer, non so il criterio usato per dare questo riconoscimento, ma se penso ad altri autori premiati, questo mi pare davvero esagerato. L’ho letto sulla scia di una fuorviante recensione di Baricco che lo inseriva fra i migliori libri letti negli ultimi anni; forse abbiamo gusti diversi o comunque non ho abbastanza sensibilità da apprezzare questa raccolta.

Raffaella Giatti

DESCRIZIONE

In un angolo del continente nordamericano c’è Crosby, nel Maine: un luogo senza importanza che tuttavia, grazie alla sottile lama dello sguardo della Strout, diviene lo specchio di un mondo più ampio. Perché in questo piccolo villaggio affacciato sull’Oceano Atlantico c’è una donna che regge i fili delle storie, e delle vite, di tutti i suoi concittadini. È Olive Kitteridge, un’insegnante in pensione che, con implacabile intelligenza critica, osserva i segni del tempo moltiplicarsi intorno a lei, tanto che poco o nulla le sfugge dell’animo di chi le sta accanto. Opera vincitrice del Premio Pulitzer 2009.

 

Resta con me, Elizabeth Strout

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Resta con me – Elizabeth Strout

Siamo nel Maine, fine anni ’50. Un giovane pastore protestante, la sua bella moglie, una figlia ed un’altra in arrivo. Una comunità che li accoglie con favore, gentilezza, anche se nei confronti di lei si bisbiglia…e il libro è molto di questo, si bisbiglia, si chiacchiera alle spalle, sorrisi davanti e piccole/grandi pugnalate dietro, facciate da difendere e segreti da nascondere. E quando le maldicenze sono scoperte, cresce la tensione. Quando esce fuori sempre lo stesso vizio delle piccole comunità, e cioè la diffidenza e la non accettazione nei confronti del tizio venuto da fuori, lo straniero, il diverso, quello non allineato con le tradizioni, e anche con le cattiverie locali, a volte…ci sono parecchi temi, nel libro, eutanasia, suicidio assistito, e altri, forse troppi, direi, che, per me, rimangono non sviscerati a fondo. La Strout scrive benissimo, ma per me questa è sociologia, più che letteratura, manca la poesia, non mi sono appassionato alle vicende del protagonista. Il romanzo, sempre per me eh, non decolla, è freddo. Nonostante il finale in cui c’è il respiro della speranza, della crescita individuale e collettiva, dove dal tanto dolore rinasce un sorriso. America, ipocrisia, falso bigottismo, pastori, chiese, sermoni, forse per me era troppo, da sopportare…riproverò con Olive Kitteridge…

Carlo Mars