La pianista – Elfriede Jelinek
«Vienna, la città della musica! Anche in futuro, qui si affermerà solo ciò che ha già avuto successo. Le saltano i bottoni sul ventre grasso e bianco della cultura, come ad un cadavere affogato che anno dopo anno si gonfia sempre più, se nessuno lo ripesca».
Ci ho messo 15 anni buoni a riprendermi dalla visione del film di Michael Haneke, che fece incetta di premi a Cannes aggiudicandosi il Grand Prix Speciale della Giuria, la Palma d’oro per la migliore attrice e il premio per la migliore interpretazione maschile. il libro è per certi versi diversi ma assolutamente non da meno. Tra l’altro è talmente diversa come esperienza rispetto alla visione cinematografica, che mai durante la lettura ho pensato a Isabelle Huppert, ma mi sono immaginato la protagonista con una faccia inventata dalla mia immaginazione.
La protagonista del romanzo è l’insegnante di pianoforte Erika, inquietante antieroina che si avvicina alla mezz’età, diventata maestra di piano dopo il mancato successo come solista. Per nulla emancipata, vive in un morboso duetto con l’anziana madre, dispotica e soffocante, che invade con la sua presenza ingombrante l’intera vita della figlia, scegliendo per lei i vestiti da indossare, le persone da frequentare, la carriera da intraprendere, monitorando i suoi spostamenti, il suo armadio e perfino il letto, un letto matrimoniale che le due devono condividere. Culmine della storia sarà il tentativo di Erika, schiava di una sessualità autolesionista e voyeuristica, di stabilire un legame amoroso con un suo allievo, tentativo che, dati i presupposti, finirà in una “catastrofe sadomasochista” annunciata.
La morbosità sessuale che lo pervade impressiona, ma più di tutto sconvolge il modo di raccontare, con mille immagini e divagazioni e metafore che rendono magari non facile seguire gli avvenimenti, ma che rappresentano davvero il valore aggiunto. E’ anche disturbante la poca introspezione dei protagonisti, il cui sentire si deve dedurre dai comportamenti, spesso aberranti e perversi. L’atmosfera è opprimente, con questa madre dispotica che cerca di controllare in tutto la figlia pretendendo da lei il massimo e questa figlia che o obbedisce alla madre o, per sfuggire, si annulla completamente in attività disgustose, masochistiche, crudeli, violente e autolesionistiche. Non è facile scrivere storie erotiche senza scadere nel banale, se non nel ridicolo, e questo libro invece è un capolavoro in questo senso.
Concludi il libro disturbato, per nulla eccitato, con una certa rabbia e frustrazione, e penso fosse questo il fine di tutto.
Nicola Gervasini