Le voci di Marrakech – Elias Canetti #EliasCanetti #PremioNobel

Elias Canetti soggiornò per un certo periodo a Marrakech, nel 1954. Il grande lavoro su “Massa e potere” era giunto a un momento di stasi e lo scrittore sentiva il bisogno di nuove voci, di voci incomprensibili, come quelle che lo avvolsero nella splendida città marocchina. Vagando per i suk, per le strette vie, per i mercati e le piazze, fra cammelli, mendicanti, donne velate, cantastorie, farabutti, ciechi e commercianti, Canetti capta forme e suoni: “gli altri, la gente che ha sempre vissuto là e che non capivo, erano per me come me stesso”.

Il 14 agosto 1994, ventotto anni fa, moriva a Zurigo Elias Canetti, premio Nobel per la letteratura nel 1981. Fu scrittore e saggista da sempre interessato a comprendere e analizzare la vita dell’uomo e i suoi problemi. Nel 1975 decise di trascorrere del tempo in Marocco, quasi una vacanza dal suo lavoro “ Massa e Potere”, ma la sua attenzione per la condizione umana non poteva andare in vacanza, come ben dimostra questo libro.

“Durante le settimane che ho trascorso in Marocco, non ho tentato di imparare né l’arabo né alcuna delle lingue berbere. Non volevo perdere nulla della forza di quelle strane grida. Volevo essere colpito da quei suoni per ciò che essi erano, e non volevo che nulla fosse attenuato da cognizioni inadeguate e artificiose. Sul paese non avevo letto niente. I suoi costumi mi erano estranei come la sua gente.”

Mi ha colpito molto la multietnicità del luogo. Arabi, berberi, ebrei ed europei convivono, non senza qualche difficoltà, in una delle metropoli più importanti del Marocco, con conseguente impossibilità, spesso, di usare una lingua per comunicare. È il linguaggio, verbale e gestuale, a prevalere sulla lingua; sono i suoni, le voci, più che le parole ad essere oggetto di attenzione: versi che incantano, litanie che hanno il potere di condurre i passi o inchiodare i piedi in un punto fisso, per ore.

Canetti nei suoi vagabondaggi per la città viene attirato dai più deboli, che possono essere i bambini, i mendicanti, i malati o gli animali destinati al macello. E di ogni incontro ci racconta con delicatezza e precisione, tanto che dopo le circa 120 pagine anche il lettore ha l’impressione di aver conosciuto Marrakech e i suoi abitanti. Un libro che con gli anni non ha perso freschezza.

Rosangela Usai

di Elias Canetti (Autore) B. Nacci (Traduttore) Adelphi, 2004

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Il continente invisibile – J. M. G. Le Clézio #PremioNobel

di Jean-Marie Gustave Le Clézio (Autore) M. Balmelli (Curatore)

Instar Libri, 2008

Questo saggio è una feroce critica nei confronti dell’opera colonizzatrice del mondo occidentale. Il continente invisibile è l’Oceania, che non venne riconosciuta come continente dai primi colonizzatori occidentali, inglesi, francesi, spagnoli, e ancora oggi aspetta un pieno riconoscimento internazionale. Le Clézio compie, e ci fa compiere, un viaggio nelle isole, prima ospiti nella piroga che portò i primi abitanti, poi a vedere le distruzioni sia della natura che della popolazione originaria compiuta dagli occidentali, e infine ai giorni nostri guidati da coloro che oggi cercano di far sopravvivere la cultura e le tradizioni. Diversi i racconti mitologici come numerosi i dati ufficiali, che ben si legano permettendo a Le Clézio, membro del comitato d’onore dell’ong Survival International, di compiere il suo atto d’accusa in difesa dei popoli insulari pesantemente minacciati dalla globalizzazione.

“Avventura è la parola da custodire.

Una parola il cui senso è stato distorto.

Una parola che oggi è storpiata, è divenuta un contenitore, una via d’uscita, un diversivo all’inettitudine.

Una parola che ora dobbiamo rovesciare, stracciare, perché è stata l’abito che hanno indossato i lugubri apostoli della conquista, gli sfruttatori intrisi di esotismo.”

Nell’ottobre 2008, anno in cui in Italia viene pubblicato per Instar libri Il continente invisibile (titolo originale: Raga: approche du continent invisible, uscito in Francia nel 2006), l’autore vince il premio Nobel per la letteratura. Nel discorso tenutosi alla consegna del premio, Le Clézio afferma che tra tutte le circostanze che l’hanno portato a iniziare a scrivere, quella determinante è stata la guerra: non quella richiamante i campi di battaglia, ma la guerra dei civili e dei bambini.

“Scrittore di nuove partenze, di avventura poetica, di estasi dei sensi, esploratore di un’umanità al di là e al di sotto della civilizzazione regnante” (per la motivazione del Premio Nobel)

Rosangela Usai

“Se l’Africa è il continente dimenticato, l’Oceania è il continente invisibile”, perché i primi viaggiatori che vi si sono avventurati non l’hanno visto, perché ancora oggi è un luogo senza riconoscimento internazionale, un passaggio, sebbene molti esploratori abbiano rischiato la vita per raggiungerlo e tentare di cartografarne le coste. Quando scopre l’immensità dell’oceano, la miriade di isole, isolotti, atolli di questo continente fatto più di mare che di terra, Le Clézio non immagina fino a che punto il mito possa ricongiungersi con la realtà. In questo racconto invita a scoprire la cultura dell’Oceania, a orientarsi con le stelle, ma anche a non dimenticare la storia dei popoli delle isole, il loro passato di migranti e di schiavi, il loro presente ancora troppo simile al passato. Oltre che viaggio iniziatico dietro le poche immagini note – spiagge, bellezze polinesiane di Gauguin, Naghol – questo libro è una riflessione critica su quella globalizzazione che mette in pericolo l’armonia di una civiltà preziosa ma fragile.