11 febbraio 1963: Sylvia Plath, moglie di Ted Hughes, si suicida. Lascia a Ted due figli e l’ombra di un dolore che lo sprofonda nel silenzio. Dopo 35 anni, qualche mese prima di morire, Ted Hughes rompe il silenzio e tutto lo strazio della perdita esplode nella bellezza di versi tersi e compressi.
Si tratta di una raccolta di poesie, c‘è chi ha parlato, forse non a torto, di canzoniere contemporaneo, e chi ha voluto vedere nel libro l’arringa difensiva di un uomo stanco di sentirsi rimproverare il suicidio della moglie-mito.
Difficile prendere una posizione netta sulle motivazioni e sulle finalità dell’opera, che sembra essere il prodotto di una lenta, meditata ed intima riflessione sull’indecifrabile tormento che ha consumato la vita della Plath.
Hughes ripercorre le tappe della sua vicenda amorosa, dal primo incontro al matrimonio, passando per i trasferimenti, il lavoro, i viaggi, la nascita dei due figli della coppia.
Le poesie ricostruiscono la geografia di un rapporto segnato dal disagio psichico della Plath, che incombe sulle vite dei due artisti senza soluzione di continuità.
Hughes sviluppa in modo ossessivo il motivo del mancato superamento della perdita del padre durante l’infanzia da parte della moglie quale radice profonda delle sue sofferenze e delle sue tendenze suicide.
Le poesie sull’argomento sono numerosissime e assai simili tra loro, tanto da sembrare persino ripetitive: il lettore rimane invischiato in una trama fatta di interpretazione di sogni, spiegazione di gesti ed esibizione di completa impotenza da parte dell’autore di fronte al “Dio della Foresta Nera” di Sylvia Plath (il padre Otto era di origini tedesche).
Resta, alla fine, l’impressione di un uomo che ha amato, ha lottato, ha perduto (una battaglia, un matrimonio, una moglie, una possibilità di vita).
“E allora per quale macabra o liberatoria circostanza, questa impossibile festa di compleanno? In cui “Tutti ridono // come fossero grati, tutta la compagnia riunita – / amici vecchi e nuovi, / alcuni scrittori famosi, la tua corte di menti brillanti, / editori, dottori e professori (…) E la tua Mamma / ride nella sua casa di riposo. Ridono i tuoi figli / dagli angoli opposti del globo. Il tuo Papà / ride giù nella bara”. F.Rognoni
Saturnine Puissant
Qui la storia davvero interessante della famiglia, anzi delle famiglie di Hughes, che si risposò dopo della morte della Plath, e che vide (causò?) il suicidio anche della seconda moglie: https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2009/03/27/olocausto-domestico/
Lettere di compleanno è un libro che nasce nella dimensione del ricordo, con esso cresce e di esso si nutre. La vicenda è nota: Hughes conobbe Sylvia Plath a Londra, dove lei si era recata dagli Stati Uniti, suo Paese natale, per motivi di studio. I due giovani simpatizzarono e dopo un breve fidanzamento decisero di sposarsi. Dal loro matrimonio nacquero due figli, Frieda e Nicholas. Col tempo però la loro vita in comune divenne sempre più difficile, a causa di incomprensioni reciproche, e finì con l’incrinarsi definitivamente in seguito al tradimento di Ted, il quale si invaghì di Assia Gutmann, più giovane di lei di dieci anni. Sylvia, che aveva già tentato un’altra volta di togliersi la vita, senza riuscirvi perché salvata in extremis, non resse al colpo e si suicidò, mettendo la testa in un forno a gas.