In una ricostruzione tra storia e romanzo, emerge in Care memorie il tema della felicità, che mette in gioco il senso stesso del mondo, rispecchiato nell’immagine – cara alla Yourcenar – del Labirinto. A vent’anni, Marguerite Yourcenar, aveva tratteggiato un immenso romanzo storico che abbracciava, trasfigurate dalla fantasia, tutte le generazioni della sua famiglia; ma solo negli anni Settanta questo progetto prese forma. Care memorie inizia dal racconto della sua nascita per dilatarsi, a ritroso nel tempo, fino al XVI secolo, tessendo la storia di un gruppo di personaggi che copre, come una rete, tutto un territorio: le Fiandre.
Care memorie (titolo originale Souvenirs pieux) è un’abile e attenta ricostruzione della vita dei famigliari dell’autrice, che percorre secoli di storia servendosi di fotografie, dagherrotipi, documenti, lettere e ricordi dei parenti. Un viaggio nei frammenti di ricordi ricevuti da seconda o persino decima mano, narrato dal giorno della sua nascita andando indietro nel tempo, alle generazioni che avevano preceduto la sua famiglia, alla ricerca dei suoi antenati come nel caso dello zio Octave Pirmer, illustre saggista belga dell’Ottocento, poi della nonna Mathilde per arrivare infine alla giovane madre.
Ho ammirato ancora una volta il suo stile lento e profondo, la scrittura seria e intelligente, come se fosse un flusso inarrestabile di pensieri, collegamenti storici e osservazioni. La Yourcenar ha la fantasia del quotidiano attraverso la quale riesce a cogliere dettagli, passioni, impressioni e sentimenti di personaggi mai conosciuti o frequentati solo brevemente e superficialmente.
In alcuni punti della narrazione, devo però ammettere di essermi un po’ persa, e proprio per questo motivo che a questo libro, ho preferito di gran lunga le Memorie di Adriano (che per altro cita in questa stessa opera), anche se molto simile per lo stile e i toni.
“La creazione letteraria è un torrente che travolge ogni cosa; in quel vortice le nostre caratteristiche personali sono tutt’al più dei sedimenti. La vanità o il pudore dello scrittore contano ben poco di fronte al grande fenomeno naturale di cui egli è teatro.”
Silvia Loi
“L’essere che chiamo io venne al mondo un certo lunedì 8 giugno 1903, verso le otto del mattino, a Bruxelles, nasceva da un francese appartenente a una vecchia famiglia del dipartimento del Nord e da una belga i cui antenati avevano abitato a Liegi per qualche secolo … quel pezzetto di carne rosea piangente in una culla azzurra, mi costringe a pormi una serie di domande … che quella bambina sia io non posso dubitarne senza dubitare di tutto … sono costretta ad appigliarmi a schegge di ricordi di seconda o di decima mano … quelle schegge di fatti che credo di conoscere sono tuttavia fra quella bimba e me l’unica passerella transitabile e la sola boa che ci tiene a galla entrambe nel mare del tempo.“