Alexis – Marguerite Yourcenar

Alexis è stato scritto da Marguerite Yourcenar quando aveva soltanto 24 anni. Come l’autrice stessa spiega, il titolo si rifà alla seconda egloga del poeta Virgilio, Alexis per l’appunto. Il sottotitolo, invece: Il trattato della lotta vana, riprende il Traité du vain désir, un’opera giovanile di André Gide. Tuttavia, a esercitare un reale influsso sul contenuto è stata “l’opera grave e commossa di Rilke” (probabile il riferimento a I quaderni di Malte Laurids Brigge, almeno stando a quanto si legge in quarta di copertina a questa edizione).

La Yourcenar, per sua stessa ammissione, sceglie volontariamente, per trattare di queste tematiche, un linguaggio “classico”, discreto, intriso di misticismo e di mistero, ricco di sfumature e di sottigliezze che rendono giustizia all’abissale complessità del desiderio e della vita.La tematica centrale, è quella dell’omosessualità. La Yourcenar ammette di aver acquisito la libertà di espressione intorno all’argomento, perché a quell’epoca cominciava a sobbollire la necessità di manifestarlo in Letteratura. Tuttavia, lei decide di muoversi liberamente, senza sottostare a nessuna particolare influenza, e sceglie a distanza di anni di lasciare il suo scritto perfettamente intatto per due sostanziali ragioni: in parte, perché questa epistola riflette un pensiero, una peculiarissima persona e un’epoca; in parte perché, nonostante tutte le acquisizioni fatte in materia di diritti dalla società, nel tempo, non ha rimosso la complessità del conflitto interiore di chi lo vive. Interessantissima, leggetela, la riflessione sulle etichette, e il modernissimo e lungimirante rifiuto di esse, da parte della scrittrice.

Venendo infine alle impressioni squisitamente personali, l’ho trovata un’opera scritta in stato di Grazia, un capolavoro degno di essere riletto e letto ad alta voce, gustato, ripetuto, sottolineato e custodito gelosamente come si farebbe con una parte molto intima di sé. Il linguaggio trasmette mistero, decadenza, una certa ambiguità e malattia. Oltre all’omosessualità, o potrei azzardarmi a dire insieme all’omosessualità, io ci ho visto il ritratto dell’inguaribile stato interno dell’artista, che soffre perché avverte tutto con una sensibilità acuta, come una continua ferita aperta, e perché è malato di una malattia per lui ineludibile ed eterna: la Bellezza. Ed Alexis, come ogni artista è perfettamente egoista, tormentato, prostrato da sé stesso, incapace di stare lontano dalla propria vocazione e dal richiamo del midollo della vita stessa. Il tira e molla dei canoni morali della società con cui egli si frusta, tentando di segregarsi in una morte ascetica destinata, immancabilmente, a deflagrare con la ciclica febbre del corpo, nella cui verità affondano le ragioni dell’anima. Perché la natura non la scegliamo, e ogni peculiare natura fa impallidire ogni normalizzante costrutto morale.

Ho invidiato ad Alexis la sincerità con cui infine, dopo tante battaglie interiori, decide di accettare sé stesso e di non sfruttare e tormentare, ulteriormente, le naturali bontà e sensibilità di lei: io non sono stata in grado di fare altrettanto. Ci sono coraggio adamantino e purezza, nella decisione di lasciarsi trasportare da una vita in cui si è autenticamente sé stessi: trasforma. Ed ecco che essere ciò che siamo sempre stati e che anzi, negli anni, denuda la sua natura in maniera sempre più essenziale e cruda, non può che coincidere con lo spiegarsi delle ali della propria intima vocazione. Vivere di sé stessi e vivere del talento comporto l’omicidio sacro di tutte le menzogne di una comodità in apparenza dolce e rassicurante, ma calma come una morte. Una lettera di vita.Per me leggerti, Alexis, è stato quasi insopportabile. Vorrei rileggerti davanti a una voce che mi ascoltasse, muta, trasmettendomi il significato più prezioso del silenzio, o meglio di una confessione appena crepuscolare, sussurrata come il timido seme di una vibrante rinascita.

Giulia Casini

Alexis o il trattato della lotta vana

Traduttore: Maria Luisa Spaziani Editore: Feltrinelli Collana: Universale economica

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Care memorie – Marguerite Yourcenar #MargueriteYourcenar #memorie

In una ricostruzione tra storia e romanzo, emerge in Care memorie il tema della felicità, che mette in gioco il senso stesso del mondo, rispecchiato nell’immagine – cara alla Yourcenar – del Labirinto. A vent’anni, Marguerite Yourcenar, aveva tratteggiato un immenso romanzo storico che abbracciava, trasfigurate dalla fantasia, tutte le generazioni della sua famiglia; ma solo negli anni Settanta questo progetto prese forma. Care memorie inizia dal racconto della sua nascita per dilatarsi, a ritroso nel tempo, fino al XVI secolo, tessendo la storia di un gruppo di personaggi che copre, come una rete, tutto un territorio: le Fiandre.  

Care memorie (titolo originale Souvenirs pieux) è un’abile e attenta ricostruzione della vita dei famigliari dell’autrice, che percorre secoli di storia servendosi di fotografie, dagherrotipi, documenti, lettere e ricordi dei parenti. Un viaggio nei frammenti di ricordi ricevuti da seconda o persino decima mano, narrato dal giorno della sua nascita andando indietro nel tempo, alle generazioni che avevano preceduto la sua famiglia, alla ricerca dei suoi antenati come nel caso dello zio Octave Pirmer, illustre saggista belga dell’Ottocento, poi della nonna Mathilde per arrivare infine alla giovane madre.
Ho ammirato ancora una volta il suo stile lento e profondo, la scrittura seria e intelligente, come se fosse un flusso inarrestabile di pensieri, collegamenti storici e osservazioni. La Yourcenar ha la fantasia del quotidiano attraverso la quale riesce a cogliere dettagli, passioni, impressioni e sentimenti di personaggi mai conosciuti o frequentati solo brevemente e superficialmente.
In alcuni punti della narrazione, devo però ammettere di essermi un po’ persa, e proprio per questo motivo che a questo libro, ho preferito di gran lunga le Memorie di Adriano (che per altro cita in questa stessa opera), anche se molto simile per lo stile e i toni.

“La creazione letteraria è un torrente che travolge ogni cosa; in quel vortice le nostre caratteristiche personali sono tutt’al più dei sedimenti. La vanità o il pudore dello scrittore contano ben poco di fronte al grande fenomeno naturale di cui egli è teatro.”

Silvia Loi

“L’essere che chiamo io venne al mondo un certo lunedì 8 giugno 1903, verso le otto del mattino, a Bruxelles, nasceva da un francese appartenente a una vecchia famiglia del dipartimento del Nord e da una belga i cui antenati avevano abitato a Liegi per qualche secolo … quel pezzetto di carne rosea piangente in una culla azzurra, mi costringe a pormi una serie di domande … che quella bambina sia io non posso dubitarne senza dubitare di tutto … sono costretta ad appigliarmi a schegge di ricordi di seconda o di decima mano … quelle schegge di fatti che credo di conoscere sono tuttavia fra quella bimba e me l’unica passerella transitabile e la sola boa che ci tiene a galla entrambe nel mare del tempo.“