Siamo a Brooklyn alla fine degli anni 60. Sophie e Otto vivono la loro tranquilla vita borghese in una bella casa, nella sicurezza ovattata garantita dal denaro e dai privilegi, cercando di tenersi al riparo dalla bruttura e dalla miseria del mondo che li circonda. Questa apparente tranquillità viene scossa nel momento in cui un gatto randagio morsica Sophie ad una mano. Un piccolo fatto insignificante che scatena una serie di pensieri, reazioni e avvenimenti in grado di mettere in discussione non solo il matrimonio di Sophie e Otto ma le basi su cui poggiano le loro stesse vite. Nel corso dei due giorni in cui si svolge la storia, mentre Sophie vive nell’ansia e nell’angoscia (o è speranza?) di sapere se il gatto le abbia trasmesso la rabbia, assistiamo ad una serie di avvenimenti e di riflessioni, alcune meno comprensibili di altre, che ci mostrano quanto fragile e incerto fosse in realtà il dorato mondo dei coniugi Bentwood.
Al di là della storia in sé, la vera perla di questo romanzo è lo stile dell’autrice. Paula Fox sembra ricamare con le parole, le intreccia, le combina e le lavora come se stesse intrecciando i fili di un merletto. E come in un merletto cattura il lettore in una serie fitta fitta di punti e di nodi, affascinandolo con elaborati ghirigori per poi lasciarlo in sospeso , in bilico ai margini di un foro che potrebbe sembrare un lavoro non finito e che invece si rivela un elaborato gioco di maglie larghe, una finezza ricercata.
Un breve romanzo insolito e interessante. Come dice Jonathan Franzen nell’appassionata prefazione (Franzen è vero cultore di questo libro) “Quello che rimane” si presta a più riletture, perché è un libro in grado di svelare nuove sfumature di sé ad ogni nuova lettura.
Se deciderete di leggere questo romanzo io vi consiglio di lasciare la prefazione a fine lettura. Lo scritto di Franzen è interessantissimo, però svela quasi tutta la storia.
Anna Massimino