Il mercante di Venezia – William Shakespeare #WilliamShakespeare #teatro

Antonio: Io considero il mondo per quello che è, Graziano: un palcoscenico dove ogni uomo deve recitare una parte, e la mia è una parte triste.”

La storia di un prestito dato ad usura da un ebreo ad un mercante veneziano e quella del corteggiamento di una splendida dama che sposerà solo l’uomo capace di superare una singolare prova, sono al centro di una delle più brillanti e celebri commedie di Shakespeare. Divisa in cinque atti e composta intorno al 1594, una commedia, quella in cui probabilmente – prima de La Tempesta – l’espediente metateatrale raggiunge il suo apice massimo, sia nell’incantato setting di Belmonte, luogo favoloso associato all’amore e ai suoi aspetti sognanti, ma anche e soprattutto mediante il travestimento nella famosa scena del processo, palcoscenico per antonomasia della rappresentazione delle più insite fragilità umane, condotte e presentate attraverso un linguaggio arguto e sapientemente infiocchettato.

« Non ha occhi un ebreo? Non ha mani, organi, statura, sensi, affetti, passioni? Non si nutre anche lui di cibo? Non sente anche lui le ferite? Non è soggetto anche lui ai malanni e sanato dalle medicine, scaldato e gelato anche lui dall’estate e dall’inverno come un cristiano? Se ci pungete non diamo sangue, noi? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate non moriamo? »

(Shylock: atto III, scena I)

Una commedia sì, ma che ha al suo interno una miriade di tematiche da esplorare e su cui rimuginare, non sempre a cuor leggero: la religione in primis, con le sue differenze e ingiustificate incomprensioni; il commercio e i traffici che ampliano lo sguardo alla riflessione politica e sociale; l’elemento dell’acqua con la potenza del mare e la sua forza distruttrice e ammaliatrice; la figura femminile, con le sue provocanti macchinazioni e astuta intelligenza; e non ultima, la musica col suo potere di addolcire l’animo e mutarne la natura.

La commedia, in cui tutto è relativo. Riflesso dell’umana fragilità e precarietà.

Graziano: […] L’uomo che non ha musica in se stesso, né è commosso dal concerto di dolci suoni, è adatto ai tradimenti, agli inganni, alle rapine: in lui i moti del cuore sono spenti come la notte e gli affetti scuri come l’Erebo: non fidarti d’un tale uomo – ascolta la musica.”

Owlina

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