Fine pena ora – Elvio Fassone #ElvioFassone #recensione #Sellerio

 È un libro dolorante e bellissimo, una storia minuziosamente vera, scritta con umanità profonda, senza falsa pietà, senza linguaggi melensi. CORRADO STAJANO, il Corriere.

Elvio Fassone è un magistrato illustre, ha fatto parte del Csm, è stato per due legislature senatore della Repubblica. Il suo interlocutore, Salvatore, è un mafioso catanese imputato in Corte d’Assise, pluriomicida, futuro ergastolano.
«“Presidente, lei ce l’ha un figlio?”
Ne ho tre, e il maggiore ha solo qualche anno in meno di Salvatore. (…)
“Glielo chiedo perché le volevo dire che se suo figlio nasceva dove sono nato io, adesso era lui nella gabbia; e se io nascevo dove è nato suo figlio, magari ora facevo l’avvocato, ed ero pure bravo”». Si scriveranno per ventisei anni.

Questo libro parla essenzialmente di limiti, quelli che un ordinamento deve rispettare quando decide di punire una persona.
Non vi è traccia di buonismo o di pietismo nelle parole del giudice Fassone, vi è rigore verso la ricerca di quel limite che si fa garante della sicurezza di un Paese ma che dovrebbe anche farne referente della sua umanitá.
Questo libro racconta ventisei anni di corrispondenza tra un detenuto processato a Torino nel 1985, e condannato per omicidio plurimo, affiliato alla mafia, e il suo giudice, Elvio Fassone appunto, che lo condannò. L’ergastolo del detenuto diventa “ostativo”, quindi senza possibilità di sconti di pena, perchè lui, Salvatore , non vuole collaborare con la giustizia. Studia, si comporta correttamente in carcere e partecipa a tutte le iniziative rieducative, ma non baratta la sua anticipata libertà con la prigionia di un’altra persona. La sua buona condotta non basta poi neanche a ottenere i permessi per continuare a studiare, per via di cavilli giudiziari e di continui trasferimenti.
“E’ incredibile come esiti di frustrazione e di sofferenza si producano anche senza che una volontà malvagia li voglia: non c’è bisogno di essere crudeli, basta un’applicazione asettica di regole senza pensare ai possibili effetti secondi, basta una prudenza un po’ rancida all’insegna del non volere grane, il rifugio anestetetico nelle procedure, la prudenza elevata a sapienza: e le carte dei protocolli restituiscono l’individuo al ruolo kafkiano di quello che attende davanti a una porta della quale nessuno ha la chiave.”

Il rigore di Fassone lo porta ad analizzare la questione dell’ergastolo dal punto di vista delle vittime, per cui comprende il desiderio di risarcimento del danno; al tempo stesso sottolinea che esiste una totale assenza della percezione del tempo che cambia le situazioni emotive di tutti. E anche che giuridicamente c’è il tempo del delitto e c’è il tempo della rieducazione che andrebbe verificato e garantito.
In Appendice si trovano delle proposte concrete di riforma del diritto costituzionale che lo stesso Fassone aveva cercato di realizzare come senatore. Ma sono troppe le forze, anche popolari, che spingono a dire che “non è il momento”.

Un’importante testimonianza e’ , dunque , questo libro di Fassone e un grande risarcimento per le sofferenze di un ergastolano che aveva compiuto un lungo cammino sulla strada della rieducazione.

Consigliato a coloro credono che la giustizia costituzionale sia quella che si toglie la benda e guardi al diritto inalienabile alla dignita’ umana.

Egle Spanò

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