E’ vero, avevo detto che non me la sentivo di recensire “Stagioni diverse”, perché avevo la sensazione di essermi completamente svuotata dopo aver letto l’ultima riga del terzo racconto (Stand by me). Mi sembrava che non potessi dire nulla, perché ogni commento sarebbe stato superfluo. In effetti, da questi quattro racconti hanno già tirato fuori tre film di cui due assolutamente straordinari. Cosa posso aggiungere io a tanta magnificenza? Poco. Però qualcosa, alla fine, vorrei dirla. Ci sono libri che possiamo divorare in un giorno intero, ma che dopo poco dimentichiamo perfino di aver letto. Sono fatti per il consumo, per il piacere, per oziare. E poi ci sono QUEI libri, quelli che riempi di orecchie per segnare un passo o un pensiero, quelli che una volta terminati ti restano dentro anche se non vuoi, quelli che entrano a far parte di un posto speciale, un “per sempre” tutto tuo che con condivideresti mai con nessuno, nemmeno sotto tortura. Ieri, sdraiata su uno scoglio, quando ho finito Stand by me fortunatamente avevo gli occhiali da sole, se capite cosa intendo. Il desiderio di diventare grandi e al tempo stesso la paura di crescere, quell ’amicizia così unica e pura come solo a dodici anni puoi sperare di trovare perché poi puff! sparisce. E se ne va così, senza un reale motivo. Se l’avete notato quando si diventa adulti gli amici entrano ed escono dalle nostre vite come camerieri in una sala da pranzo, (citando lui) ma quando hai dodici anni per difendere i tuoi amici faresti a pugni con chiunque. Anche se sei una femmina. Chi non si è rivisto dodicenne insieme a quel gruppo di ragazzini scalcagnati? Non vi viene un po’ di magone, dopo? Penso proprio di sì. E poi la meravigliosa storia di Andy ed il suo sogno di libertà, un racconto che da solo potrebbe racchiudere tutte le metafore sulla condizione umana, che contiene tutte le domande e le risposte che vi sono mai venute in mente quelle sere un po’ storte in cui, sdraiati sul letto e fissando il soffitto, vi siete chiesti cosa siete venuti a fare a questo mondo. La paura e l’orrore? Mi spiace, qui non c’è nulla di tutto questo. Che poi, finiamola una volta per tutte: dove è l’orrore in King? E’ vero, a volte scrive storie che ti fanno tremare le viscere, ma non è perché sa descrivere dannatamente bene la paura, o meglio: è molto più di questo. Lui tira fuori la paura che è in noi ed è quella che ci spaventa a morte. E questo spiega perché noi che lo leggiamo sempre e comunque abbiamo paura dei pagliacci anche se abbiamo quarantanni, degli hotel isolati non ne parliamo nemmeno, ed in genere siamo terrorizzati dalle tranquille cittadine della provincia americana.
Paola Castelli
Il mio libro preferito di Stephen King è quest’altro: https://wwayne.wordpress.com/2014/04/18/misteri-e-segreti/. L’hai letto?
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