“Aveva il carisma e la semplicità di un uomo della terra, e l’arroganza inaccessibile degli dei.” Michail Barysnikov
È stato il più grande, ci sta dicendo l’autore di questo libro, è stato il migliore di tutti. Ha alzato a livelli altissimi l’asticella della perfezione, della determinazione e del successo. Ha dato un nuovo significato alla parola talento. Ha rivoluzionato il balletto rendendolo meno elitario e più popolare.
Ha avuto in dono un talento immenso e lo ha sfruttato appieno, al limite della perfezione.
Una biografia dai toni decisamente enfatici, a volte un po’ poco obiettivi e un po’ troppo orientati verso… il glamour. Del resto è impossibile non affrontare gli aspetti privati in una biografia di Nureyev: è stato il primo ballerino classico a diventare una star del jet set (….glamour, star, jet set…sembro Crozza quando imita Briatore!).
A tutti gli effetti, comunque, un personaggio straordinario. Nel bene e nel male. Instancabile perfezionista, capace di una disciplina ferrea oltre il sopportabile (già malato, incanta un teatro danzando con un catetere inserito in corpo. Non deve essere facile…).
Severo, terribile, furioso, in grado di accontentarsi solo del meglio, da se stesso e dagli altri. Completamente focalizzato su se stesso e sulla danza, determinato in maniera feroce nel raggiungere i suoi obiettivi. Ribelle perché fuggì dalla Russia che lo rinchiudeva tra i suoi confini e ne limitava la carriera. Ma ribelle anche perché, una volta all’Ovest, non si adattò a regole e a schemi prefissati. Le regole erano le sue, era lui a dettarle.È superiore agli altri, sa di esserlo, e vuole essere trattato come tale.
Amatissimo malgrado il suo carattere, odiato, circondato dalla protezione di personaggi influenti (i Kennedy, tanto per dire), osannato e contrastato. Uno zar, lo definiscono. E lui lo diventa (“Nureyev non si serve, lo servono!” grida spaccando bicchieri quando gli dicono che c’è il buffet).
“Non capiscono i movimenti che devo fare! Non capiscono niente della mia entrate in scena! Non sanno che devo “brillare” quando entro, è ME che si deve vedere, l’occhio del pubblico non deve essere distratto dai bei costumi degli altri, né dalla vecchia fata in quarta fila, né dal nano, né dal mio rivale, né dalla giovane prima ballerina! È me, soltanto me che si deve vedere entrare in scena…”.
E poi….poi lui in scena, lui su un palco. La grazia, la forza, l’incanto. Possente, commovente, meraviglioso. In grado di valorizzare al meglio la sua compagna, se ne ha una, come di tenere incollati su di se gli occhi di un intero teatro e poi farlo venire giù per gli applausi. Sempre. Cosa deve essere stato per un ragazzo che ha fatto la fame mangiando patate marce in una casupola russa vedere la Regina d’Inghilterra e la regina madre alzarsi in piedi per tributargli un’ovazione?
Lui, che quando è in scena non si limita a ballare. Lui è LA danza.
“Sotto un sole freddo simile a quello della Russia, in quel paesaggio di croci ortodosse, tombe zariste, pinnacoli a bulbo, betulle e abeti argentati, ognuno si chiude in un assorto raccoglimento. Poi gli ammiratori si avvicinano per gettare un giglio bianco sul feretro di colui che, attraversando il mondo di corsa, fu l’ultimo zar della danza”.
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