Non mi aspettavo di imbattermi in una crime story, colpa mia che mi ero informato male. Ma alla fine questo è: c’è un delitto, c’è un commissario, ci sono dei colpevoli e dei moventi da scoprire. Va anche sottolineato, però, un aspetto interessante: fin quasi all’ultimo non si capisce cosa (cazzo) è successo. Ci si avvicina al cuore del macello dal passato e dal futuro, attraverso un metodico accumulo di capitoli brevi che frammentano il punto di vista seguendo le vittime nelle ore precedenti il misfatto e il commissario Pallino (un nome che dissacra la tipica figura da poliziotto noir dissestato, disagiato, tormentato ecc) nelle ore successive, fino a circoscrivere lentamente e inesorabilmente gli eventi e la loro interpretazione. Funziona? Sì, funziona. Il condominio alla fine è uno specchio nero e distorto dello stato delle cose, un luogo di quotidiana maledizione, disperazione e dissipazione, viziato all’origine – come si scoprirà – da un battesimo famigerato (e cialtrone).
L’unico dubbio, di fronte a romanzi del genere, è che abbiano dovuto indossare la forma del “giallo” per rendersi potabile, e che quindi siano costretti a consumare cliché come zuccherino per farti ingoiare il fiele di intuizioni poco accomodanti. Intuizioni che Deotto – biotecnologo nonché giornalista, qui al suo romanzo d’esordio – non risparmia certo al lettore. A costo di eccedere, come nello spiegone un po’ pedante del professore paraplegico nel finale.
Nel complesso è una lettura piacevole, anche molto piacevole, a tratti dura, capace di allestire stati di tensione credibili e intriganti.
Stefano Solventi