Raccolta di racconti.
Vincitore dei premi Hugo, Sidewise, Locus e Nebula per i suoi lavori, Ted Chiang è una scoperta che ammalia in sette degli otto racconti che compongono questo volume (uno non mi è proprio andato giù).
Nel narrare Chiang toglie la terra da sotto i piedi al lettore letteralmente e metafisicamente: non esiste più un sopra un sotto, un prima e un dopo, ma tutto si compone in un nuovo piano simultaneo in cui esiste solo il movimento con cui l’autore porta il lettore a cogliere l’essenza dei personaggi, l’essenza della storia e della scrittura.
Entusiasmante e sorprendente, Chiang lancia un incantesimo con le sue storie: in una i costruttori della torre di Babele cercano di forare la vita celeste con dei trapani da trivellazione e ci riescono, in un’altra nella Londra del diciannovesimo secolo le scoperte scientifiche sono guidate da mistici e cabalisti che creano golem sofisticati molto simili ai robot di Asimov, nella speranza di salvare il genere umano dall’estinzione per infertilità. Un’altra ancora vede un individuo salvato dal coma da un farmaco miracoloso che però aumenta le sue capacità celebrali talmente tanto che deve darsi alla macchia per non essere usato dalla CIA come arma di distruzione di massa.
Una storia potreste averla vista al cinema ed è quella che ha ispirato il film the Arrival, in cui una linguista viene chiamata a mediare il primo contatto con una specie aliena denominata eptapodi. Nell’ultima storia per proteggersi dai bombardamenti standardizzati dei pubblicitari e dalla tendenza sempre più narcisistica della società, un gruppo di umani sviluppa un farmaco che impedisce alle persone di essere ammaliate dalla bellezza umana e combatte contro le lobby pubblicitarie per emancipare il genere umano.
In realtà tutte queste descrizioni solo riduttive perché Chiang ha una sua logica, come Jennifer Egan nel suo premiato libro, che attraversa tutte queste storie, come porte scorrevoli su una domanda che risuona coi suoi echi in tutte le narrazioni: cosa ci rende umani e qual è il nostro destino?
Stefano Lillium