Che cosa dobbiamo farcene di una donna bella? Una donna che curi la casa, e che procrei dei figli lavorando – ecco quel che ci occorre! Le donne belle non hanno altro pensiero che scegliersi vestiti che s’intonino con la loro faccia. Alla larga! Noi siamo contadini.
Pearl S. Buck nacque in Virginia nel 1892 ma passò gran parte della sua vita in Cina al seguito dei suoi genitori, missionari presbiteriani. La Buck è stata una degli autori preferiti della mia adolescenza, chissà, mi pare che negli anni ’60 andasse di moda. Ne lessi diversi ai tempi e sarà colpa anche sua se mi sono appassionata alla lettura. Imperdonabile, ora lo so, non aver mai letto il suo capolavoro.
Era profonda conoscitrice dell’ambiente e del popolo cinese, nella cui terra visse per lunghissimi periodi.
La buona terra è un romanzo ambientato a cavallo del ‘900, lambisce l’inizio della rivoluzione, una saga familiare che abbraccia quattro generazioni di poverissimi contadini cinesi.
Protagonista assoluta del romanzo è la terra; i personaggi sono tanti, ma i principali sono due: Wang Lung e sua moglie O-Lan i quali, lottando fianco fianco contro le carestie, la mala sorte, la miseria in nome della fedeltà alle tradizioni e alle proprie radici riescono a costruire la loro fortuna, a diventare una grande e potente famiglia ma, come sempre avviene nelle grandi saghe familiari, anche per la famiglia Wang arriverà il momento della crisi e della dissoluzione. La terra fa da elemento centrale attorno alla vita di Wang Lung e O-Lan, al loro duro lavoro, alla fatica, abnegazione e immani sacrifici, è sempre la terra che fa superare loro momenti difficili e gli dà stabilità. Tutto il loro futuro successo non sarebbe stato possibile per il protagonista se al suo fianco non avesse avuto la moglie O-Lan, ex schiava, magnifica figura di donna forte, generosa, quasi invisibile eppure vera colonna della famiglia. Veramente potenti le descrizioni che Pearl Buck fa di eventi terribili e catastrofici come carestie, inondazioni, la distruzione dei raccolti; terribilmente sincere le descrizioni della condizione delle donne che in qualunque posizione si trovino (mogli, concubine, figlie) ed a qualunque livello della scala sociale siano, sono sempre e soltanto puro oggetto alla mercè della volontà e dei capricci dell’uomo che su di esse esercita il potere assoluto. L’autrice descrive i parti, l’allevamento dei figli, i pesanti lavori cui sono costrette le donne con una grande sensibilità, scava in profondità nella condizione femminile in una società che non concede nessun diritto, in cui il neonato — se risulta essere una femmina — viene chiamato semplicemente “la schiava”, e non ha diritto nemmeno ad avere un nome. La terra è tanta, la famiglia è stabile; ma le nuove generazioni vogliono emanciparsi, istruirsi ed abbandonare i lavori di manovalanza. Con la ricchezza, portata da raccolti abbondanti ed una parsimoniosa gestione dell’economia famigliare, nascono altri problemi. L’invidia, l’avidità e la gelosia mineranno la stabilità di questa famiglia che prima poggiava le fondamenta del suo essere nella buona terra. E questo lo capisce Wang Lung quando nella sua vecchiaia farà ritorno ai propri campi per riassaporare le sensazioni vissute quando era giovane.
“Quando si comincia a vendere la terra è la fine di una famiglia. Dalla terra siamo venuti e alla terra dobbiamo tornare”. Così Wang Lung, protagonista maschile de La buona terra, ammonisce tra le lacrime i due figli maggiori quando, ormai giunto alla fine della vita, intuisce che progettano di vendere le terre che egli ha faticosamente messo insieme e difeso durante tutta la sua esistenza per costituire la fortuna della famiglia.
Libro che parla di una società molto vecchia, molto distante da quella di oggi, ma ne parla con un linguaggio molto realistico ed essenziale, dandone una descrizione potente ed efficace. Molto interessante anche la descrizione della nobiltà dell’epoca distrutta dal lassismo e dall’oppio.
Ora, dire che mi è piaciuto è riduttivo, mi ci sono tuffata a pesce e ne sono riemesa quando l’ho finito.
Buck ci vinse il Pulitzer nel 1931 e il Nobel nel 1938, con questa motivazione: “Per le opere notevoli che ha lasciato lungo il suo cammino che conduce verso la simpatia umana nei riguardi di popoli separati da noi da frontiere lontane, e per lo studio di ideali umani ai quali ella ha prestato la sua arte di descrivere così perfetta e viva, l’Accademia Svedese è cosciente di agire in armonia e d’accordo con i propositi che si era prefisso Alfred Nobel”..
Raffaella Giatti