Siamo a Milano, in periferia. Due amici che non si vedono da tempo si incontrano in un bar frequentato in passato dal loro gruppo ormai disperso. Il racconto di Alessio all’amico (il narratore, alter ego dell’autore?) è quello di un uomo che ha avuto il suo paradiso e lo ha perduto: un amore di quelli che capitano una volta nella vita, intenso, totale, definitivo. Martina lo ha incontrato, forse amato e poi lasciato perché non può non ritornare dal suo amore precedente. E allora dal paradiso Alessio scende in un progressivo inferno di desolazione: bere di tutto per dimenticare, perdere il lavoro, vagabondare, lasciarsi andare fino a perdere il sentimento di sé e di cosa si è.
Detta così è una storia banale e lo è in effetti nella sua normalità fattuale; ma è scritta con un’eleganza quasi ammaliante del perdersi per un amore vero e irripetibile anche se non ricambiato, decidendo che è l’unica cosa che da fare perché “si sopravvive a tanti inferni, e non a un solo paradiso”. L’autore Giorgio Fontana, già vincitore lo scorso anno con un altro romanzo “milanese”, ci accompagna nel suo racconto che ha il sapore di un lungo assolo jazz con le ripetute (e un po’ abusate) citazioni di brani di Coltrane, Young, Baker, e altri e che il protagonista della vicenda usa per sottolineare i suoi stati d’animo sempre più devastati che si combinano con la Milano marginale e ben descritta che entra a fare da sfondo alla deriva.
E la conclusione nelle parole dell’amico, che forse il paradiso non lo ha mai conosciuto e che per ore ascolta questo tormento di Alessio, senza avere il coraggio di staccarsene (ma forse neppure di salvarlo) sapendo solo dirgli che ciascuno ha un bonus di cattiveria da giocarsi una sola volta nella vita e che Martina ha “dovuto” giocarlo con Alessio, è aperta al dubbio che sia difficile giudicare se la sua vita “regolare” fatta di un buon lavoro, di una bella famiglia con moglie e figli sia davvero migliore.
Esercizio di stile, può lasciare perplessi ma può piacere a chi ha dell’amore una idea di disperato romanticismo, a chi ama il jazz triste e lacerante e la rievocazione di una Milano straniante e nebbiosa nei suoi bar periferici.
Renato Graziano