Un cigno selvatico – Michael Cunningham #MichaelCunningham #recensione

“Se non siete un sogno delirante nel sonno degli dei, se la vostra bellezza non turba le costellazioni, nessuno vi lancerà un incantesimo. A nessuno verrà in mente di trasformarvi in una bestia o di mettervi a dormire per cent’anni. L’apparizione camuffata da spiritello non ci pensa nemmeno a offrirvi tre desideri con la catastrofe nascosta dentro come una lametta in una torta.

Le fanciulle così così – quelle che è meglio guardarle a lume di candela, con trucco e corsetto – non hanno nulla da temere. I legittimi eredi grassocci e brufolosi, quelli che danno il tormento ai tirapiedi e devono vincere sempre a tutti i costi, sono immuni da maledizioni e malocchio. Le vergini di serie B non suscitano le forze della distruzione; i corteggiatori imbranati non fanno infuriare demoni e folletti.

La gran parte di noi può stare tranquilla: riusciremo a rovinarci con le nostre stesse mani.”

Un cigno selvatico – Michael Cunningham

Traduttore: C. Prosperi
Illustratore: Y. Shimizu
Collana: Oceani

Michael Cunningham è uno scrittore statunitense che ha vinto il Pulitzer per la narrativa nel 1999 per il suo romanzo The hours, Le ore, dal quale fu poi tratto un film omonimo molto bello, che portò l’Oscar a Nicole Kidman per la sua interpretazione di Virginia Woolf.

In questo libro di racconti, Un cigno selvatico (e altre storie), uscito nel 2016, Cunnigham decide di riscrivere, ri-raccontare alcune delle fiabe più famose e amate dai bambini, portandole nel mondo oscuro degli adulti, del disincanto, della umana disperazione. E’ un genere non nuovo, già affrontato splendidamente da Angela Carter in La camera di sangue, per esempio, il momento in cui uno scrittore decide non tanto di scrivere una versione diversa di una nota favola, quanto piuttosto di parlarci di quel contenuto latente di sentimenti ed emozioni   che ogni racconto della tradizione porta con sè. Christian Andersen e i fratelli Grimm non erano particolarmente profondi nella caratterizzazione dei loro personaggi: quello che ci è arrivato dalle storie, da bambini, è che la magia esiste, che è giusto essere compassionevoli, che è onorevole battersi per i più deboli, che se si è solidali con altri sventurati come noi tutto si aggiusterà, alla fine. Sono racconti che ci hanno aiutato a sviluppare la nostra immaginazione e i nostri sogni, ed è giusto così.

Rileggendole da adulti, se lo si fa senza un bambino accanto che ci contagi con la propria fantasia tenendone vivo l’incanto, inevitabilmente sorgono riflessioni di un diverso tipo, ed è quello che Cunningham esplora in questa sua opera. C’è un lato oscuro di umanità presente nelle favole di cui non si parla, da bambini, ma che è tuttavia presente: perchè, come, quando la strega di Hansel e Gretel è diventata così? perchè Rumpelstiltskin voleva un bambino per sè? Perchè, davvero, era stato fatto l’incantesimo alla Bestia? Sono le storie di chi vive dall’altro lato dello specchio, sono i racconti del non-protagonista che è presente dentro a ogni favola, sono le narrazioni degli adulti. La narrazione di queste dieci famosissime fiabe varia dal prequel al revisionismo al sequel, la forma profonda e la scrittura limpida, a volte tagliente, molto dura. Si esplorano le complesse relazioni umane tra mariti e mogli, tra padri e figlie, madri e figli; c’è il vuoto esistenziale dell’essere umano, le sue impotenze, le bassezze, l’invidia, il rancore a prescindere, la miseria. Però ci sono anche il sesso, l’amore, il coraggio, non di combattere i draghi ma di accettare la propria vita, pur imperfetta, e andare avanti. C’è la compassione verso quelli che da bambini erano semplicemente i cattivi, e qui sono i diversi, i più sfortunati, quelli che non ce l’hanno fatta. C’è anche qualche svolta di trama interessante, un principe non così nobile e coraggioso, re carismatici con un brutto lato di sospetto e rancore, principesse molto poco romantiche e parecchio materialiste.

Non so se sia sempre riuscito a dare nuove voci a vecchi personaggi, ma certamente in almeno in un paio di racconti Cunnigham ha illuminato di luce pura alcuni personaggi che hanno sempre vissuto nelle tenebre, e mi è piaciuto molto. Alcuni racconti sono disperati e amari, le ambientazioni a volte squallide, realistiche, irreali, addirittura horror; la diversità in questo mondo -come nella realtà- vince raramente sulla bellezza, e chi soffre di menomazioni fisiche ha spesso serie difficoltà a non soffrire. Quindi sono sicura che ci sarà qualcuno che leggendolo rimarrà deluso, con un  senso di perdita per la bellezza dei propri sogni infantili, forse per la perdita dell’illusione di quei sogni. Ma non è colpa di Cunnigham, e io mi sento già cinica di mio, e lontanissima dalla bambina che ero;  e quindi ho chiuso questo libro con un senso di dolcezza, perchè in fondo anche se sono fiabe riscritte, anche se la magia qui è strana e un po’ oscura, e anche se noi non siamo più quei bambini, e la nostra parte peggiore, quella più meschina, nera e poco eroica, spesso rischia di prendere il sopravvento su tutto il resto, non è sempre così. Non sempre, e non ancora: ed è questo il senso che tutte quelle storie da bambini hanno portato nella nostra vita. A volte il male vince, a volte non c’è magia che tenga e nemmeno senso, ma spesso c’è anche un po’ da riderci su, e nella vita in fondo se c’era una volta, forse c’è ancora, basta crederci un poco. Il lieto fine può arrivare, ma dobbiamo prima imparare ad accettarci, umanamente.

Ognuna di queste fiabe è arricchita da un’illustrazione della bravissima artista newyorkese Yuko Shimizu. Illustrazioni in bianco e nero, dove il buio predomina e al tempo stesso si avverte quel sapore fantastico di un tempo sospeso tra realtà e finzione, là dove le fiabe mostrano il loro vero cuore, a volte più nero del nero.

Lorenza Inquisition

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