Helter Skelter – Vincent Bugliosi / Curt Gentry #HelterSkelter

helter_skelter_bugliosi_1st-ed-1974_wwnorton

Il secondo libro più venduto della storia editoriale nella categoria true crime è In Cold blood, di Truman Capote. Il primo, campione di incassi assoluto di tutti i tempi, è Helter Skelter, il resoconto degli efferati omicidi di Sharon Tate e di altre sei persone (sette, contando il bambino di otto mesi che portava in grembo l’attrice) da parte della Manson Family nel 1969. Vincent Bugliosi, co-autore, servì nel processo come Pubblico Ministero, e questo libro è il resoconto dettagliato e preciso di tutta questa violenta, assurda, tragica vicenda. Quindi si raccontano prima i delitti, le investigazioni e la raccolta delle prove, poi i conseguenti arresti, la deposizione dei testimoni, tutto il processo e relative condanne. Avevo comprato questo libro da qualche tempo, aspettavo ad approcciarlo per via della mole, e anche perchè con testi così pesanti per tematiche e argomentazioni se la scrittura non è coinvolgente il processo di lettura può diventare un’ordalia. Però ero decisa a leggerlo per una serie di motivi, innanzitutto per il coinvolgimento ideologico dei Beatles, un gruppo che io amo tantissimo; conoscevo solo vagamente la motivazione del messaggio Helter Skelter, scelto da Manson per veicolare il suo Manifesto, ed ero curiosa di capire la vera storia di questa sua ossessione per il White Album. Poi c’è la fascinazione verso un certo periodo storico, gli anni ’60 del Flower Power; e l’interesse psicologico per lo studio di come un guru riesca a manipolare la mente di decine di persone, annullandone personalità e valori morali, tanto da avere a disposizione degli schiavi obbendienti disposti a tutto, anche a commettere i delitti più efferati, pur di obbedire alle direttive. Provavo anche un certo interesse legale per le varie vicende istruttorie, per arrivare a capire come l’accusa riesca a costruire un valido caso processuale partendo da poche prove indiziarie. E da ultimo, o forse per prima, lo confesso, c’era una umana fascinazione nera, forse proprio curiosità pruriginosa, che spinge ancora nel 2016 a leggere di una serie di delitti di 47 anni fa, al cui solo accenno affiorano alla mente immagini di scritte col sangue sui muri e possessioni demoniache. Devo però anche sottolineare che gli omicidi Tate-LaBianca non furono opera di serial killer, eclatanti orrori di condizioni psicopatologiche. Questo libro parla di delitti dove la violenza voleva veicolare un preciso messaggio politico, rivoluzionario e sociale, che è poi il motivo per cui il culto di Manson ha avuto (e ha tuttora) una serie mai stanca di ammiratori che respingono il sistema sociale costituito. Non è che sia meglio, come motivazione, rispetto all’insanità mentale; è che però c’è molto più da dire e da discutere, su un tale sfogo per una causa -pur se malata e di intento deviato- idealistica.

Citando A sangue freddo all’inizio, va subito detto che letterariamente i due libri, pur essendo dello stesso genere, non sono paragonabili: la scrittura di Capote è inarrivabile, l’empatia per vittime e colpevoli posizionata su vette irraggiungibili. Tuttavia non per questo Helter Skelter è un romanzo meno valido, o meno vero, anzi: io l’ho trovato molto coinvolgente, e non solo perchè parla di quello che è forse l’evento più famoso di cronaca nera degli Stati Uniti. Penso che sia uno dei libri più interessanti che io abbia mai letto, perchè pur non essendo scritto da autori di razza, è onesto e, trovo, molto vero. Bugliosi e il suo team non erano interessati a diventare amici di Manson e dei suoi seguaci; ma volevano conoscerli, capire a fondo le ragioni che avevano spinto un gruppo di giovanissimi, quasi tutti dai venti ai venticinque anni di età, a uccidere con ferocia dei perfetti estranei. Capire era vitale e necessario, innanzitutto per servire la giustizia, perchè queste ragioni dovevano poi essere rese note alla giuria. E anche perchè nessuno se non l’Accusa difendeva in quel momento le vittime trucidate, e come giustamente osserva Bugliosi, sono morte delle persone innocenti, assassinate nella propria casa con violenza inaudita, solo per un caso. Questo caso, almeno, doveva servire a prevenire l’uccisione di altri innocenti; e perchè questo si realizzasse diventò per un lunghissimo anno processuale la sola ragione di vita e pensiero di tutta la squadra della pubblica accusa: sette giorni su sette, per più di dodici ore al giorno, senza riposo o interruzioni. Perchè anche quando Bugliosi e i suoi furono più che sicuri della validità delle loro ipotesi di accusa, le reali motivazioni di Manson, il famoso motivo dell’Helter Skelter appunto, erano talmente assurde e improponibili a un pubblico di gente comune che tutti loro dovettero lavorare incessantemente per assicurarsi di avere prove a sufficienza per ottenere delle condanne, e non lasciare impuniti dei crimini così efferati. E quando ti impegni per così tanto tempo con così grande furore su un caso, è impossibile che questo non trapeli poi nel tuo racconto: per questo è un libro per me molto vero e appassionante.

Helter Skelter è un’opera ricca di contenuti, che contiene un triste, squallido racconto dell’anima nera dell’uomo. E’ anche la storia della fine di un’epoca, gli anni hippie degli ideali di pace e amore; Charles Manson e suoi seguaci, pur essendo capelloni, nullafacenti e nullatenenti, non si consideravano hippie, e mostravano anzi per la categoria un certo disprezzo. Ma dopo i loro efferati delitti nell’estate del ’69, che ebbero un richiamo mediatico enorme, è lecito dire che un’intera nazione cambiò atteggiamento, diventando impaurita e diffidente. Un ragazzo hippie intervistato in quel periodo affermò di odiare la Manson Family per quello che aveva fatto alla fiducia nel prossimo: tutti sbarravano porte e finestre, nessuno dava più passaggi in automobile, nessuno permetteva più a dei ragazzi con ghirlande di fiori nei capelli che giravano gli Stati Uniti a piedi di dormire nel proprio giardino o di entrare in cucina a mangiare qualcosa; la paranoia entrava in America, per non uscirne mai più. Ed è, questa, una grande verità.

E’ un libro che parla di quello che accade quando un gruppo di persone decide di consegnare il proprio libero arbitrio, la propria scala di valori e moralità, in breve, la propria mente e la propria anima, a un uomo solo al comando, quando arriva inevitabile quel momento fatidico in cui tornare indietro non è più possibile. E, come dimostra la storia di ogni despota acclamato nei secoli, qualsiasi strada decida di intraprendere il dittatore, alla fine trascina gli adepti con sè nella rovina.

E’, infine, la storia di un uomo lucidamente solo, un disadattato cronico che a soli sedici anni aveva vissuto in carcere per più di metà della propria vita, senza un padre e abbandonato più volte dalla madre, che costruì un culto della propria personalità anche in base al dono che aveva di irretire giovani e affascinarli con il proprio carisma. Un razzista che oscillava tra Scientology e un altro strambo culto scorporato chiamato The Process Church. Un uomo di indiscussa intelligenza che si pensava grande artista e non riuscì mai a sfondare come musicista, che cercava la gloria e la notorietà, ottenute infine nel peggior modo possibile, senza aver mai, nemmeno oggi, 47 anni dopo, provato a esprimere rammarico o pentimento per le proprie azioni.

Leggere la sua storia è stato comunque utile a sfatare questo suo mito di superuomo che ha fatto un patto demoniaco, di guru onnisciente dai supremi poteri mentali.  Lui e il suo gruppo  cavalcarono con entusiasmo e spietata leggerezza i lunghi mesi di dibattito nel tribunale, crogiolandosi sul banco degli imputati per l’attenzione che i media riservavano loro, coronamento del sogno malato di una vita all’inseguimento della fama. Spernacchiavano avvocati e giudice, irridevano e minacciavano apertamente i testimoni, inscenavano momenti di teatralità e irresponsabile gaiezza, mai mostrandosi pentiti o consapevoli della gravità delle loro azioni. Il satanismo fu solo l’ultima di una serie di criminali messe in scena, quando con l’approssimarsi della fine del processo e della sentenza (dove Bugliosi come accusa richiedeva la pena di morte) Manson decise di giocarsi anche la carta della possessione diabolica, nonchè della pazzia. Rimane indubbio che nel suo credo ci fossero elementi di fascinazione di certi culti satanici: ma tutte le testimonianze concordano nel dipingerlo come una persona che vedeva se stesso prima di tutto come incarnazione di Gesù Cristo.

Il processo cominciò quasi un anno dopo i delitti, a luglio del 1970, durò 22 settimane, più di duecento giorni di sequestro per la giuria che una volta scelta non potè più uscire dall’hotel selezionato per il soggiorno, se non per ricevere qualche rara visita -sorvegliata- di parenti stretti. Le testimonianze li portarono da descrizioni degli effetti dell’LSD a momenti di sesso e violenza inenarrabili, da Dennis Wilson dei Beach Boys al White Album dei Beatles, dall’identificazione dei seguaci in Manson come doppia incarnazione sia di Dio che di Satana alla fascinazione del guru per Adolf Hitler. Ma, nonostante tutto il loro dramma, le minacce, le ridicole messe in scena, i tentativi di spaventare giuria e testimoni con terribili previsioni di Apocalisse e ritorsioni varie, la fine del processo arrivò, portando un patetico abbozzo delle tre ragazze co-imputate con Manson di addossarsi completamente la colpa confessando gli assassini, per scagionare il guru da qualunque accusa. A questo si giunge, dopo che un criminale irresponsabile ha dato ordine ai propri seguaci di uccidere senza pietà sette persone innocenti, dopo che si è dichiarato Messia, grande inquisitore mentalista, supremo leader: a scaricare il barile perchè la sedia elettrica è improvvisa e reale.

Manson e i suoi seguaci responsabili dei delitti furono tutti condannati a morte, verdetto poi commutato in carcere a vita quando la California abolì la pena capitale (solo per qualche anno, fu poi reintrodotta ma con disposizione non retroattiva). Nessuno di loro è più uscito dal carcere, anche se ci sono probabilità per due delle tre ragazze, ormai settantenni, per la prossima richiesta di condizionale. Manson, divenuto in prigione membro della Fratellanza Ariana, ha attualmente 82 anni, e non si è presentato all’udienza per il riesame nel 2012, durante la quale le autorità carcerarie hanno presentato evidenza di un suo aggravarsi di condizioni di schizofrenia e disturbi delusionali. La prossima udienza per la richiesta di semi libertà gli è stata accordata non prima del 2027, quando avrà 92 anni.

Il suo culto ha subito negli anni fasi alterne, alcuni musicisti hanno inciso sue canzoni, ha un sito web e negli anni ha avuto scambi di corrispondenza con amici e ammiratori all’esterno, e persino un fidanzamento con una sua fan ventiseienne, attualmente annullato. Tuttavia da che è stato incarcerato il suo gruppo di seguaci si è disperso, nè ha mai provato a ricostituirsi, forse perchè una volta estirpatone il capo gli adepti non hanno trovato in sè forza o volontà di proseguire nella loro insensata campagna di ultraviolenza. Abbiamo paranoia, razzismo, e omicidi a volontà, in America come in tutto il mondo. Ma per fortuna, il particolare tipo di odio proclamato da Manson alla società non ha proliferato; forse il male di cui era responsabile nasceva in un periodo, i tardi anni ’60, in cui la rivoluzione sessuale e nei campus universitari, la sperimentazione di droghe e le lotte per i diritti civili, gli scontri razziali e le proteste per il Vietnam, tutto congiurava a creare un terreno fertile per un leader che basava il suo culto sulla paranoia e lo scontento sociale. Ed è anche grazie a un libro come questo che la riflessione su dove porti la fede cieca in un capo che continua a indicare a chi lo ascolti che è nel diverso la causa di tutti i  problemi continua ad essere attuale e necessaria.

Lorenza Inquisition

 

 

 

 

In cold blood – Truman Capote #TrumanCapote

quote-no-one-will-ever-know-what-in-cold-blood-took-out-of-me-it-scraped-me-right-down-to-truman-capote-4-73-51

Capote riferì in varie interviste di avere in mente da tempo di scrivere un resoconto veritiero di un caso criminale, perchè vedeva nel giornalismo la possibilità di introdurre un nuovo genere letterario: la nonfiction novel. Conoscendo i propri tempi, pensava di dedicare alla scrittura della propria opera almeno quattro o cinque anni; e questo lo poneva nella condizione di scegliere un crimine di un certo scalpore, perchè doveva avere la ragionevole certezza che il materiale non “scadesse”, col tempo. Ed essendo la natura umana quella che è, sapeva che un assassinio non sarebbe mai calato di interesse, per il pubblico. Leggendo un trafiletto sul New York Times, decise che il caso Clutter poteva fare al caso suo. Perchè non partire, andare in Kansas e vedere che succedeva? Tutto gli era sconosciuto: la città, gli abitanti, i paesaggi, il clima. E tutto questo poteva contribuire ad acuire il suo pensiero, stimolare il suo lavoro.

Alla fine, non partì solo, lo accompagnò la sua migliore amica, Harper Lee, che fu vitale per il lavoro di Capote, un artista che ostentava la propria superiorità intellettuale e sartoriale, con le sue gardenie e le sciarpe di seta colorata. In una città della Bible Belt, rurale, religiosa, spaventata per un delitto atroce ancora irrisolto, tendenzialmente chiusa verso qualsiasi estraneo e diffidente di chi non è del luogo, lo scrittore di New York non avrebbe avuto vita facile senza la mediazione dell’amica. Ma Harper Lee era una signora; cominciò col fare visita alle signore, alle mogli di chi voleva intervistare Capote, facendo da tramite per lui. Col tempo, anche i cittadini più riluttanti accolsero i due scrittori. Le interviste furono moltissime, alcune andarono avanti per tre anni, e per allora Capote era totalmente in confidenza con le persone di Holcomb.

Incontrò per la prima volta Perry e Dick la sera del loro arrivo a Garden City. Nelle prime interviste Perry era diffidente, quasi paranoico, e non parlava. Dick era più facile, era la classica persona che incontri sul treno e in dieci minuti ti ha già raccontato tutto della sua vita. Perry si rilassò dopo qualche mese, ma solo dopo anni arrivò a essere completamente onesto con Capote, e a fidarsi di lui. Chiedeva allo scrittore perchè stesse scrivendo questo libro, proprio un libro di questo tipo. E un giorno gli disse: Dimmi in una sola frase perchè vuoi scriverlo. Capote rispose che non era sua intenzione far cambiare idea alla gente, e neanche c’era un particolare intento morale: era solo una sua precisa convinzione estetica di poter creare un romanzo che fosse un’opera d’arte. A queste parole, Perry si mise a ridere, dicendo che era proprio una cosa ironica. Perchè per tutta la vita aveva cercato di creare un’opera d’arte, e dopo aver ucciso quattro persone, beh, proprio quello sarebbe alla fine risultato l’opera d’arte di un’altra persona.

Durante gli anni di detenzione, Capote ebbe un rapporto costante con i due condannati. Si considerava amico di Perry, gli era più vicino emotivamente perchè mostrava rimorso, perchè aveva avuto un’infanzia mostruosamente infelice, perchè era intelligente e desideroso di studiare. Visitava spesso i due ragazzi, parlava con loro, inviava pacchi di riviste e giornali, e scriveva almeno due lettere a settimane, due lettere diverse ciascuno, perchè erano vicini di cella, ed erano molto gelosi, o meglio, Perry lo era, e se Dick avesse ricevuto una lettera in più si sarebbe offeso tremendamente. Capote scriveva delle cose che faceva a New York, della propria casa, del proprio cane. Due lettere a settimana, per anni. E poi c’era la relazione con gli abitanti di Holcomb, con l’agente Dewey e sua moglie, a cui pure scriveva, un lavorìo emotivo di anni, incessante. Anche se non produceva pagine del libro, Capote era costantemente nel caso, sempre. C’era inoltre il fatto di sentirsi frustrato perchè aveva un libro fermo: a causa dei vari appelli che si trascinavano negli anni, non c’era un epilogo. E non poteva pubblicare un romanzo senza una fine. E desiderare quella fine era pure orribile, per il suo rapporto di amicizia con Perry, e comunque di vicinanza con Dick. Nel frattempo Harper Lee aveva pubblicato To kill a mockingbird che era diventato un best seller, aveva vinto il Pulitzer e aveva venduto i diritti cinematografici a Hollywood. Un giro estenuante di fattori emotivi per Capote, che anno dopo anno raggiungeva nuove frustrazioni. Quando l’ultimo appello venne rifiutato dalla Corte, Perry scrisse una lettera a Capote, chiedendogli di andare a fargli visita. Lo scrittore inizialmente rifiutò, poi eventualmente accettò, disse addio all’amico, e assistette anche all’esecuzione dei due giovani. Perry gli lasciò in eredità i suoi pochi averi, libri, lettere, disegni.

In cold blood rese Truman Capote lo scrittore più famoso di America, è tutt’oggi una pietra miliare nella cultura americana, e il picco della carriera letteraria di questo scrittore. Questo fu l’ultimo libro da lui completato, e non pubblicò più nulla dopo, se non dei racconti che aveva già prodotto. Non riuscì più a scrivere niente.

La critica accolse favorevolmente il romanzo, ma ci fu una brutta diatriba con il critico d’arte Kenneth Tynan, che dichiarò in una sua recensione come Capote volesse a tutti i costi una esecuzione capitale come degno finale per il libro.

“Alla fine, stiamo parlando di responsabilità; il debito che uno scrittore verosimilmente ha verso chi gli procura la materia prima del suo scrivere, fino all’ultima parentesi. Per la prima volta uno scrittore influente di prima categoria è stato messo in una posizione di privilegiata intimità con dei criminali che stanno per morire, e -per come la penso io- ha fatto meno di quel che avrebbe potuto per salvarli. Il punto si focalizza, precisamente, su due priorità: viene prima il lavoro, o la vita umana? Un tentativo di aiutare (per esempio fornendo una nuova testimonianza psichiatrica) avrebbe potuto facilmente fallire; ma manca qualsiasi prova che questo tentativo sia mai stato contemplato”. Kenneth Tynan

Intervista inegrale: http://www.nytimes.com/books/97/12/28/home/capote-interview.html

Lorenza Inquisition