Madame Bovary – Gustave Flaubert #MadameBovary

I classici qui non si contestano nè si recensiscono, noi stiamo con la testa sotto i loro piedi e muuuti, e comunque un mio ripasso attuale de La signora Bovary non potrà mai aggiungere nulla a un lavoro critico che si è esercitato quasi ininterrottamente sul romanzo per centosessant’anni, un capolavoro di tutti i tempi. D’altra parte essendo un classico fornisce a ogni lettura e a ogni nuovo lettore spunti ulteriori di riflessione, che vado comunicandovi.

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Quand’ero al Liceo era assegnato come compito di leggere almeno un libro di ogni autore che si studiava nelle grandi letterature. Ai tempi la cosa mi rompeva un po’, anche se a posteriori a ripensarci, Che compito hai questa settimana per letteratura francese? eeeeh devo leggere UN libro, e capirai. Comunque ringrazio di tutto ciò le suore orsoline orsacchiotte perchè alla fine a diciott’anni avevo già il mio bravo bagaglio di opere classiche, e se alcune mi avevano annoiato a morte, altre le ho portate sempre con me con tanto ammòre. Madame Bovary mi era piaciuta, per esempio, così tanto che l’avevo poi voluta rileggere dopo pochi anni all’Università. Questa seconda volta tuttavia mi aveva meno entusiasmato, quindi l’ho lasciata lì a sedimentare, seppur con un buon ricordo. Adesso dall’alto delle mie quarantblettaprrrt primavere l’ho riaccostata, e sono contenta di annunciare che ho fuso le mie due versioni passate, diciottenne e venticinquenne, con la attuale, in un tutt’uno di accettazione e partecipazione della Emma Bovary, che la capisco e le voglio bene, anche se ciò non toglie che sia per certi aspetti un personaggio innervosente ai massimi livelli, e tutto ciò, avendo ella ormai la bellezza di 160 anni, depone solo a suo favore.

Un aspetto incredibilmente affascinante del romanzo, che ho sempre amato in tutte le mie versioni, sono le descrizioni dei sogni, delle fantasticherie e della letteratura in cui Emma indulge per gran parte della propria esistenza: gli amori cavallereschi e le fiabe romantiche, gli abiti delle dame e le corti, i grandi amori e gentiluomini, tutto ciò ha rovinato lei da giovanetta ma anche qualsiasi lettrice appassionata di romanzi come me. Il bovarismo, quell’atteggiamento psicologico che fa continuamente sognare grandi sogni a occhi aperti, rifiutare la propria grigia esistenza, odiare persino il quotidiano, in genere veicolato dai libri ma non è detto, non per tutti, a diciott’anni  per una ragazza è di rigore, penso: ricordo ancora la prima volta che ho pianto disperatamente perchè uno dei personaggi di Shannara moriva, era il primo fantasy che leggevo e mi ci ero immersa completamente. Ne uscii distrutta per due giorni, con Bobby che per tirarmi su mi citava Henry Miller: lo Scorpione è un segno che si immerge completamente nella storia, vedrai che poi passa. Quanta saggezza! Come lettrice, è  impossibile non provare empatia per Emma, con il suo culto dei grandi romanzi e la passione con cui li vive, che le fa sormontare la banalità del quotidiano, chi di noi non ha sognato chiudendo un bellissimo libro di poter vivere con i protagonisti e non doversi alzare e tornare al grigiume di preparare la cartella, la cena, la presentazione del giorno dopo al lavoro?

E’ chiaro poi che ognuno ci ha la sua sensibilità, e vivere troppo sulle note blu comunque non fa apprezzare i lati positivi della propria vita, perchè si tende a proiettare le proprie speranze in sogni irrealizzabili. Questo noi lo capiamo, più o meno, avanzando con gli anni. Madame Bovary vive tutto su un registro eccessivo, sia esso quello della virtù – la dedizione perfezionistica alla casa e alla famiglia che la prende a tratti – o quello della trasgressione morale, che spesso autogiustifica ai propri occhi pensandolo dovuto all’intensità della passione amorosa. La signora Bovary è a suo modo coraggiosa, spavalda addirittura nell’assecondare le ragioni del cuore e del sentimento rispetto al proteggere la morale e ad assecondare l’intelletto. Incurante della riprovazione sociale commette adulterio, consapevole di quello a cui corre incontro, ma per lei devono sempre vincere i moti dell’anima e la volontà di spezzare le catene del pregiudizio che la società ottocentesca impone. E’ per questo che Emma è diventata anche, in varie epoche, un simbolo femminista: una figura tragica che incarna il  rifiuto di accettare un’esistenza mediocre, senza orizzonti, mortificata nell’adempimento dei doveri quotidiani iscritti nel ruolo di donna.

C’è da dire però che questo aspetto a me ha sempre colpito meno; capisco il significato addirittura eversivo che culturalmente ha avuto all’epoca, che una donna cristiana potesse fare quella vita e che se ne potesse addirittura scrivere era scandaloso, una borghese che non accetta il proprio ruolo e nemmeno si rifugia nella religione, però non sono mai riuscita a identificarmi in questo. Quand’ero giovane, perchè tutto sommato irridevo la sua scelta affrettata di sposare un uomo scelto male e in fretta, che evidentemente non le suscitava passione. Adesso, perchè penso esistano altri mondi in cui rifugiarsi, per qualcuno è la letteratura, per altri la musica, o altre persone, o viaggi. Penso che ci sia una Emma Bovary in ognuno, sempre pronta a saltar fuori in ogni momento in cui la vita, l’ennui, la fatica arrestano un po’ i sogni in cui si perde in modo sano, e ci si ferma a pensare E’ tutto qui? questa è la mia vita? davvero? Ma bisogna combatterla quella Emma lì,  magari ci si fa un piangerino o un giro in moto, o una corsa col cane o una seduta compulsiva di shopping, e la vita torna a essere bella, anche se magari non è proprio quella che sognavi da giovane. Questo, ovviamente, per noi. Lei, la Emma, è oltre, e lo sarà per sempre.

Queste sono solo mie umili riflessioni ai piedi di un personaggio immenso, che travalica il suo tempo, l’incarnazione triste e dolorosa dell’insoddisfazione femminile e dell’irresistibile bisogno d’evasione dalla mediocrità provinciale e borghese, dal muro di una realtà noiosa, incolore, abietta.

Ho rivalutato, con il tempo, il personaggio del marito: da giovane mi pareva un uomo detestabile, mediocre, terribilmente limitato nella sua angusta ottica piccolo-borghese, di una normalità che rasenta l’imbecillità. E lo è, è davvero tutte queste cose, il povero Charles. Però, come dice la Maraini, non va sottovalutato: “Rozzo, goffo e pigro, si direbbe persino scemo, in realtà si mostra capace di ciò che nessuno dei personaggi flaubertiani sa fare: amare con dedizione materna, con tenerezza protettiva, con generosità infinita, la persona che ha scelto di amare”.  E’ ovvio che essere sposate a un uomo così privo di immaginazione, di intuizione psicologica, di fantasia e di voglia di acculturarsi sarebbe una dannazione per chiunque con un minimo di sensibilità artistica. Ma dal punto di vista di lui, innanzitutto c’è da sottolineare come egli non abbia, al contrario per esempio dei due amanti di Emma, che giungono a disamorarsene incapaci di tollerare la sua intensità passionale, sentimenti volgari o dozzinali. Charles ama sinceramente la moglie, si dirà forse che non la capisce; è vero, ma il suo sentimento non è meno vero, per questo. E’ un goffo, un vinto, capisce di essere incapace di soddisfarla, e perciò non pone alcun limite alla sua libertà e alla sua autorealizzazione, non interferendo mai nei disperati tentativi di evasione della moglie. Un uomo più meschino l’avrebbe punita, un uomo più volgare soggiogata. Egli invece la spinge a dedicarsi alla musica, asseconda il suo gusto per il lusso, non è un grande eroe romantico, la sua personalità si esprime nel comportamento, non in parole fiorite e inutili. Nel complesso, insomma, un brav’uomo, la cui mediocrità è riscattata dal fatto che, preso atto delle colpe di Emma, riesce a perdonarla e a serbarle amore nel suo intimo, fino alla morte per crepacuore.

Certo, il loro matrimonio, così male assemblato dall’inizio, ha un inevitabile, fatale epilogo. Emma è incapace per carattere di sopportare la monotonia del suo matrimonio e la mediocre semplicità del suo compagno, che pur amandola sinceramente, non è minimamente in grado di colmare il suo vuoto esistenziale che si trasforma, pian piano, in una voragine in cui tradimenti, malesseri, estasi religiose e passionali la porteranno ad un tragico finale, una vicenda resa mirabilmente, davanti alla quale è impossibile rimanere indifferenti, anche oggi in questa modernità iperattiva e spesso superficiale in cui ci muoviamo.

Lorenza Inquisition

Ivan Cotroneo – Un bacio #IvanCotroneo #Unbacio

 “Lorenzo, Antonio, Elena. / Due adolescenti. Un’insegnante. / Un amore, un rimpianto, un atto di violenza. / E un bacio.”.

bacio

Racconto niente male, scritto da tre punti di vista diversi: la storia romanza un fatto di cronaca, quello di un liceale americano ucciso dal giovane che stava corteggiando. Non sto spoilerando niente perché tanto Cotroneo stesso lo rivela dopo poche pagine. La prima parte è di Lorenzo, lo sguardo innocente, la vittima, si innamora con assenza di malizia e incapacità di saper cogliere il male. La seconda parte è narrata in terza persona: si racconta di Elena, l’insegnante che assiste alla tragedia, testimone impotente. Il terzo momento è la narrazione di Antonio, l’oggetto d’amore e la mano assassina. Intorno, i compagni, i genitori, la provincia, la società, elementi alleati e succubi dell’omofobia: Antonio uccide perché non sa vedere, è reso cieco dalla comunità, dal padre, dai compagni, uccide perché non può vedere.

Il senso della vicenda è più nelle parole della professoressa che scrive che “questa città ci sta uccidendo tutti”(= provincia cronica). Ma quando ella stessa va a Milano per rapire la ex-studentessa che ama e che è sottomessa al marito padrone, si chiede se cambierebbe qualcosa abitando in una grande città e poi, dopo averci riflettuto, si dice che forse non cambierebbe niente e che il problema non è la provincia.
Il problema sembra essere sconosciuto ma onnipresente nel romanzo, una specie di Innominato.
Globalmente lettura scorrevole, Cotroneo decente ( chi l’avrebbe mai detto?!?), si fa leggere in circa due ore.

Stefano L.

“Il bullismo è qualcosa che può succedere a tutti. Le tracce di bullismo, secondo me, vengono da fuori e sono determinate dai rapporti con gli altri. Il peso di quello che c’è fuori, in famiglia, in strada, nel quartiere, è appunto fuori. E io non ho voluto metterlo di proposito all’interno del film”.

I. Cotroneo

DESCRIZIONE

Dietro ogni delitto non c’è mai un solo colpevole. Luca, Laura, Antonio. Sono i protagonisti di un romanzo a tre voci che racconta una crudele vicenda di amore, odio e violenza. Un ragazzo di sedici anni, difficile, non integrato, che arriva in una piccola cittadina di provincia. Una professoressa di italiano, quarantenne, stanca, ansiosa di spingere i suoi studenti ad affrontare la vita con un coraggio che lei stessa non possiede. Un giovane uomo cresciuto troppo in fretta, incapace di confrontarsi con l’altro e educato alla violenza. Al centro di tutto, una pistola, un colpo sparato alla tempia in un’aula scolastica, e forse un bacio. Un solo, semplice bacio, capace di scatenare la follia. Giallo psicologico, puzzle di sentimenti, drammatico racconto di un amore impossibile, costruito come un meccanismo a orologeria denso di rivelazioni, “Un bacio” conquisterà i lettori per la forza della vicenda narrata, e per una scrittura capace di toccare, commuovere, travolgere.