Casa di bambola – Henrik Ibsen #HenrikIbsen

La vita di famiglia perde ogni libertà e bellezza quando si fonda sul principio del “io ti do e tu mi dai”.

Prima di vedere uno spettacolo teatrale ne leggo, se posso, il testo, soprattutto se è una prima volta.
E così alla mia tenera età (ah ah) mi avvicino a questo lavoro, prima di recarmi al Carignano per vederne la messa in scena.
E’ la storia di Nora, una moglie frustrata e, apparentemente, innamorata di un marito affettuoso e protettivo; i due vengono colti alla vigilia di un Natale particolarmente propizio, considerata la promozione a direttore di banca di lui. Ma Nora, prima figlia di un padre non integerrimo e poi moglie di un rigoroso funzionario nasconde un piccolo segreto, avendo falsificato, con leggerezza, una firma per ottenere un prestito in denaro, peraltro necessario per curare una grave malattia del marito con un viaggio in Italia, ottenuto da un individuo un po’ losco licenziato proprio dal marito di Nora per i suoi precedenti che, naturalmente, si fa vivo con lei per ricattarla. Completano il quadro una vecchia e generosa amica di Nora e il medico Rank, amico di famiglia, molto ammalato e innamorato non dichiarato della stessa Nora.
Il fattaccio alla fine viene alla luce, e il marito si rivela per quello che è veramente, un ipocrita e ingrato compagno che antepone la propria carriera e il decoro borghese all’affetto per la moglie e all’accettazione delle sue debolezze. E quando il deus ex-machina della vicenda rappresentato dall’amica Liza che innamorata del ricattatore, lo convince a restituire la cambiale con la falsa firma, fa rinsavire il marito, pronto a vezzeggiare nuovamente la sua bella bambolina Nora, lei prende coscienza della sua ritrovata individualità e molla il marito con i tre figli.

E se nel 2017 ci ritroviamo a teatro o a rileggere questa storia senza considerarla poco attuale, nonostante tutto quello che è successo, e ovviamente mutato un po’ il contesto sociale rispetto alla fine ‘800, facciamoci qualche domanda: quanti mariti sono ancora in circolazione a considerare bamboline da vezzeggiare (o maltrattare) le proprie mogli?

Tre uomini in scena (nello spettacolo che vedrò, tutti interpretati dal poliedrico Filippo Timi , quasi a rappresentare una unica incapacità di amare in tre personaggi diversi) : un marito ipocrita, un vile ricattatore e un debole innamorato represso impotente a dichiararsi e tre donne vincenti: Nora che finalmente si ribella, Liza che ama il mascalzone e salva l’amica facendole prendere consapevolezza e la vecchia servitrice- nutrice che tutti accetta e sopporta. Donne vs. uomin, insomma, stravincono a man bassa: 3 – 0!!!

Helmer: Tu parli come una bambina; non capisci la società a cui appartieni.
Nora: No, non la capisco. Ma ora cercherò di capirla… Voglio scoprire chi ha ragione, io o la società.

Renato Graziano

Il mercante di Venezia – William Shakespeare #WilliamShakespeare #teatro

Antonio: Io considero il mondo per quello che è, Graziano: un palcoscenico dove ogni uomo deve recitare una parte, e la mia è una parte triste.”

La storia di un prestito dato ad usura da un ebreo ad un mercante veneziano e quella del corteggiamento di una splendida dama che sposerà solo l’uomo capace di superare una singolare prova, sono al centro di una delle più brillanti e celebri commedie di Shakespeare. Divisa in cinque atti e composta intorno al 1594, una commedia, quella in cui probabilmente – prima de La Tempesta – l’espediente metateatrale raggiunge il suo apice massimo, sia nell’incantato setting di Belmonte, luogo favoloso associato all’amore e ai suoi aspetti sognanti, ma anche e soprattutto mediante il travestimento nella famosa scena del processo, palcoscenico per antonomasia della rappresentazione delle più insite fragilità umane, condotte e presentate attraverso un linguaggio arguto e sapientemente infiocchettato.

« Non ha occhi un ebreo? Non ha mani, organi, statura, sensi, affetti, passioni? Non si nutre anche lui di cibo? Non sente anche lui le ferite? Non è soggetto anche lui ai malanni e sanato dalle medicine, scaldato e gelato anche lui dall’estate e dall’inverno come un cristiano? Se ci pungete non diamo sangue, noi? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate non moriamo? »

(Shylock: atto III, scena I)

Una commedia sì, ma che ha al suo interno una miriade di tematiche da esplorare e su cui rimuginare, non sempre a cuor leggero: la religione in primis, con le sue differenze e ingiustificate incomprensioni; il commercio e i traffici che ampliano lo sguardo alla riflessione politica e sociale; l’elemento dell’acqua con la potenza del mare e la sua forza distruttrice e ammaliatrice; la figura femminile, con le sue provocanti macchinazioni e astuta intelligenza; e non ultima, la musica col suo potere di addolcire l’animo e mutarne la natura.

La commedia, in cui tutto è relativo. Riflesso dell’umana fragilità e precarietà.

Graziano: […] L’uomo che non ha musica in se stesso, né è commosso dal concerto di dolci suoni, è adatto ai tradimenti, agli inganni, alle rapine: in lui i moti del cuore sono spenti come la notte e gli affetti scuri come l’Erebo: non fidarti d’un tale uomo – ascolta la musica.”

Owlina